Il circolo vizioso che si innesca tra calo dell’udito e deficit cognitivo viaggia a due direzioni. Da un lato l’ipoacusia comporta una riduzione del volume cerebrale e delle diramazioni neuronali, dall’altro un peggioramento cognitivo facilita la comparsa di un disturbo nella percezione e nella comprensione verbale. Anche se la cause che innescano questo meccanismo non sono ancora del tutto chiare, gli esperti hanno individuato diversi colpevoli.
Le potenziali cause
È chiaro, ad esempio, che l’ipoacusia determini cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello e che questo causi una sotto-stimolazione delle aree normalmente attivate dai suoni, favorendo così un impoverimento cognitivo. Metaforicamente, come quando uno strumento che non usiamo per molto tempo finisce per arrugginirsi. Un’altra ipotesi sottolinea, invece, l’affaticamento del cervello che, per compensare la perdita di udito, utilizzerebbe reti neuronali accessorie, riducendo così le risorse cognitive disponibili per svolgere tutte le altre funzioni. Altri studi puntano il dito contro l’isolamento sociale: infatti, le difficoltà a sentire e a comunicare connesse a un deficit uditivo possono favorire la solitudine delle persone, che facendo fatica a sostenere una conversazione finiscono per emarginarsi all’interno di un contesto, sociale o familiare. Infine, si ipotizza che una stessa malattia microvascolare possa essere comune a ipoacusia e ad alcune forme di demenza, favorendo l’insorgenza di entrambi i disturbi.
Riabilitare il cervello
In questo quadro, bisogna cercare di porre un freno al circolo vizioso intervenendo tempestivamente con una soluzione acustica. Nella videointervista, l’esperto Camillo Marra, docente di neurologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, ci spiega se è possibilie “riabilitare” le aree cerebrali deputate al riconoscimento di suoni e linguaggi deperite più rapidamente a causa di una mancata stimolazione.
Giulia Masoero Regis
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