L’ictus rappresenta una delle principali emergenze mediche, essendo una patologia “tempo-dipendente” in cui la tempestività degli interventi è cruciale per ridurre i danni cerebrali e migliorare le possibilità di recupero del paziente. Ne abbiamo parlato con il professor Danilo Toni, direttore Unità Trattamento Neurovascolare Policlinico Umberto I di Roma e Presidente del Comitato Tecnico Scientifico di A.L.I.Ce. Italia.
In questo articolo
In che senso l’ictus è una malattia tempo-dipendente?
«Consideriamo che l’ictus è una patologia tempo-dipendente, quindi la gestione e la cura dell’ictus sono una vera e propria corsa contro il tempo. Questa corsa inizia con il paziente stesso e chi gli sta vicino, per poi proseguire con il sistema dell’emergenza, 112 o 118, che deve portare il paziente nella struttura più appropriata. Parliamo di una struttura con un’unità dedicata alla gestione del paziente cerebrovascolare, non solo la più vicina in assoluto. Qui la corsa contro il tempo continua: è necessario fare una diagnostica corretta, con il supporto dei radiologi, per somministrare il trattamento farmacologico – la trombolisi – e, se necessario, il trattamento meccanico con l’intervento dei neurointerventisti. In tutto questo, il personale infermieristico ha un ruolo chiave, dal triage fino alla radiologia interventistica».
Com’è la situazione sul territorio italiano? Possiamo sentirci tranquilli sulla disponibilità di queste unità?
«Siamo messi meglio rispetto a tre o quattro anni fa. Tuttavia, persistono alcune differenze geografiche: c’è un’ottima copertura al Nord e al Centro, mentre al Sud stiamo migliorando. La buona notizia è che stiamo colmando questo divario; per esempio, fino a pochi anni fa in Campania, e persino a Napoli, c’erano pochissime unità. Adesso si sta riducendo questo gap, e possiamo dire che, ovunque si trovino, i cittadini italiani possono avere una risposta adeguata alle loro esigenze di salute».
Dato che l’ictus è una malattia tempo-dipendente, è fondamentale saperne riconoscere i sintomi. Quali sono quelli a cui dovremmo prestare maggiore attenzione?
«I sintomi principali includono:
- una difficoltà improvvisa a muovere una metà del corpo (sia il lato destro che quello sinistro) associata spesso a problemi nel parlare, come difficoltà nell’articolare o produrre le parole.
- Altri segnali d’allarme sono un’improvvisa perdita della vista in una parte del campo visivo
- o un disturbo significativo dell’equilibrio, non solo una vaga sensazione di sbandamento, ma una vera e propria impossibilità a mantenere la stabilità».
Fumo, obesità, pressione alta, sedentarietà. Ci sono altri fattori di rischio?
«Lei avrà visto come gli inquinanti siano una condizione a rischio per patologia cardio e cerebrovascolare, così come per esempio anche le estreme alterazioni climatiche, il caldo estremo o il freddo estremo estremo. Quindi pensiamo che purtroppo questa congiuntura di cambiamento climatico che ci sta colpendo non soltanto con le inondazioni o con la siccità, ma anche con un incremento di incidenza di patologie cardio e cerebrovascolari.
Esiste ancora un problema culturale quando si parla di ictus, come se fosse una malattie inevitabile, mentre sappiamo che si può prevenire in molti casi.
«È ora che scompaia la tendenza a minimizzare l’ictus. C’è una tendenza a minimizzare anche in ambito ospedaliero. Ogni minuto che passa conta per il destino di quel paziente. Non si ha ancora quell’attenzione che ad esempio giustamente si ha con l’infarto miocardico. Se un paziente con infarto miocardico arriva in ospedale viene catapultato immediatamente in sala emodinamica. Nel caso del paziente con ictus c’è la necessità di coordinare più professionisti, e quindi chiaramente questi diversi passaggi richiedono un coordinamento e una consapevolezza piena di quanto il tempo sia fondamentale, che ancora non è completamente realizzata».
Anche per quanto riguarda l’ictus c’è un aumento di casi in età giovane?
«Assolutamente sì. L’età è certamente un fattore di rischio: con l’aumentare dell’età aumenta il rischio di ictus. Negli ultimi dieci anni si è assistito ad un incremento del rischio di ictus dell’ordine del 20%, a differenza di quello che avviene tra gli ultracinquantenni. Questo potrebbe dipendere dal fatto che a quell’età non si controllano in maniera adeguata i fattori di rischio».