Pur nella sua drammaticità, l’emergenza Coronavirus ha segnato un punto di svolta nella pratica clinica. Ha infatti rivoluzionato le conoscenze, ha messo a dura prova la solidità del sistema sanitario, ha modificato il rapporto medico-paziente e, con esso, gli approcci terapeutici e comportamentali adottati. «La medicina, come l’abbiamo intesa finora, non esiste più» commenta Claudio Cricelli, Presidente della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG). L’ondata epidemica, che ha caratterizzato la cosiddetta fase 1, ha indotto radicali trasformazioni nelle corsie degli ospedali, negli ambulatori pubblici e privati, negli studi dei medici di base. Ed è proprio la figura del medico di famiglia a essere stata coinvolta nei cambiamenti più clamorosi, richiesti già da diversi anni dalla SIMG ma di fatto impensabili fino a qualche mese fa. Basti pensare alla dematerializzazione delle ricette o al monitoraggio telefonico dei pazienti che, pur nella loro semplicità, sembravano essere procedure irrealizzabili prima dell’insorgenza della pandemia.
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Fase 2: come la affronteranno i medici di famiglia?
Ora, con la discesa della curva epidemica, è necessario iniziare a ragionare sulla fase 2. «È chiaro che indietro non si può, e non si deve, più tornare. L’emergenza ha spinto le istituzioni e gli organi preposti a rivedere l’intero modello sanitario e i provvedimenti introdotti non possono che costituire il punto di partenza per la gestione della fase di ripresa» continua Cricelli. «Se c’è una cosa che ci ha insegnato questa emergenza è che, per affrontarla, è necessario un piano nazionale: non possiamo gettare le basi della rinascita con iniziative locali. È fondamentale un coordinamento generale, che tenga conto del ruolo cruciale del medico di famiglia, che da sempre opera sul territorio a contatto con la gente» spiega il dottore. Ma quali sono presumibilmente gli scenari che si apriranno, dal punto di vista della medicina generale? Quali strategie verranno adottate dai medici di base per la fase 2?
Stop alle ricette di carta
Il Coronavirus ha fatto definitivamente sparire la carta. «Da anni chiedevamo il superamento del sistema di prescrizione cartacea dei farmaci, che ha costretto milioni di italiani a recarsi dal proprio dottore solo per ritirare fisicamente una ricetta. Con l’emergenza si è preso atto dell’inutilità di questa procedura, che ha sempre contribuito a ingolfare gli studi medici di persone e di burocrazia. Oggi, e sarà così anche in futuro, il medico comunica telematicamente (per mail, sms o telefono) il Numero di Ricetta Elettronica necessario per il ritiro del medicinale in farmacia» conferma Cricelli. Il paziente non deve più sprecare né tempo né energie per una pratica così immediata. Il dottore, dal canto suo, può ottimizzare la propria agenda e dedicarsi diversamente alle visite.
Addio alle sale d’attesa affollate
Le sale d’attesa che brulicano di persone in attesa del proprio turno sono e saranno un ricordo sempre più lontano. Questi spazi devono restare il più possibile vuoti. Non è più pensabile che anche solo 5-6 persone sostino contemporaneamente in questi ambienti, aspettando di farsi visitare. «Gli ingressi saranno scaglionati in modo tale che i pazienti non entrino in contatto tra di loro, fermo restando che ognuno deve avere il tempo necessario per parlare con il medico. Le nuove modalità di presa in carico degli appuntamenti dovranno tenere conto di tutti questi fattori» conferma il Presidente della SIMG.
Nuove modalità di prenotazione degli appuntamenti
È tempo di rivedere anche le modalità di prenotazione degli appuntamenti. «Per evitare di fare la fila al supermercato, in banca o in posta si possono utilizzare app che consentono di prenotare l’ingresso in questi luoghi. Perché, allora, non si può fare la stessa cosa per entrare dal medico di famiglia? Il telefono rimane certamente un prezioso alleato ma è arrivato il momento di proporre anche nuovi strumenti, come appunto le applicazioni» suggerisce Cricelli. Il pensiero, però, va agli anziani, che sono sicuramente i soggetti più in difficoltà quando c’è di mezzo la tecnologia. «Dare in mano uno smartphone a un nonno, educandolo nell’utilizzo di questo dispositivo, non deve più essere un’utopia ma una necessità. L’anziano è in grado di fare operazioni semplici sul telefonino, come appunto prenotare un appuntamento tramite app, ma ci deve essere qualcuno che lo istruisca» sostiene il dottore.
Medici e pazienti devono utilizzare i dispositivi di protezione
I dispositivi di protezione individuali sono già entrati nella nostra quotidianità. Basta andare a fare la spesa o portare fuori il cane per accorgersi che ormai tutti i cittadini circolano muniti di guanti e mascherine. A maggior ragione bisogna tutelarsi negli studi medici. «I dottori devono disporre di tutti gli strumenti di sicurezza, forniti dal nostro sistema sanitario, senza i quali non possono assolutamente visitare» ribadisce Cricelli. «Nelle sale d’attesa dovranno esserci dei dispenser per igienizzare le mani all’ingresso e all’uscita, e tutti i pazienti dovranno, a loro volta, indossare le protezioni necessarie».
Incentivare tutto ciò che si può fare a distanza
Nella fase 2 bisogna cercare di ottimizzare tempi, risorse e spazi per il bene e la salute dei cittadini, che non possono essere nuovamente esposti al rischio di contagio. «In quest’ottica dobbiamo anche incentivare le procedure a distanza, laddove siano possibili. Gli anziani e i malati cronici, ad esempio, possono essere monitorati da casa con le telefonate, le piattaforme di messaggistica e le videochiamate. Gli esiti degli esami, come già spesso accade, dovrebbero arrivare telematicamente al medico di famiglia, senza dover necessariamente recarsi in studio. Spesso, poi, i disturbi sono tali da poter essere risolti anche con un colloquio vocale, almeno inizialmente. Ciò non significa che le visite saranno ridotte o negate, anzi: le cure e le attenzioni verso i pazienti non diminuiranno. Ma finalmente la medicina si ridurrà alle cose importanti ed essenziali. Tutto ciò che può “alleggerire” un sistema macchinoso e burocrate, va incoraggiato» ribadisce Cricelli.
Visite a domicilio sì, ma solo se ci sono le condizioni
In alcuni casi, però, il medico di base deve visitare i suoi pazienti a casa. Si potrà ancora fare? «Spesso questa procedura è indispensabile, quindi si continuerà a garantire anche questo servizio» assicura il dottore. Tuttavia, lo studio medico è un ambiente “sicuro” ma non sempre si può dire la stessa cosa per le abitazioni private. «Per questo motivo, prima di poter fare una visita a domicilio, sarà compito del medico stesso dare tutte le informazioni e le regole sanitarie al paziente e ai suoi familiari, in modo da mettere in sicurezza gli ambienti della casa e tutelare entrambe le parti».
Sanificazione degli ambienti
La Società Italiana di Medicina Generale, con il supporto di GlaxoSmithKline SpA, ha dato vita al progetto Safe Zone, che prevede la sanificazione con l’ozono di oltre 100 ambulatori e sale d’attesa in circa 100 giorni. «Con la nostra iniziativa vogliamo mettere in sicurezza gli operatori sanitari, i loro collaboratori e i pazienti stessi nelle zone maggiormente colpite dal virus. Tra queste le province di Bergamo e Lodi, Piacenza e Parma, Padova, Venezia, Verona, Asti, la provincia di Savona, Roma, l’area di Foggia e Rende, nel cosentino» spiega il Presidente della SIMG. «L’ottimale è arrivare a sanificare tutti i 60.000 studi di medicina generale presenti nel nostro Paese sperando, come dicevo all’inizio, in un’azione globale e coordinata del sistema sanitario. Tutti i cittadini italiani devono infatti essere sicuri della non contagiosità dell’ambiente medico».
Promuovere la vaccinazione antinfluenzale
Non si sa ancora con certezza per quanto tempo dovremo fare i conti con Covid-19. Le previsioni più credibili parlano di una durata complessiva non inferiore ai 7 mesi, con una coda epidemica di 180-270 giorni dall’esordio nel paziente 1. Stando a questi dati è ragionevole credere che l’insorgenza dell’influenza possa nuovamente sovrapporsi all’infezione da Coronavirus. «Ciò contribuirà ad aggravare il carico di malattia, con difficoltà crescenti per medici e pazienti a orientarsi nella diagnosi» interviene Cricelli. «Pertanto la Società Italiana di Medicina Generale propone una vaccinazione di massa volontaria, dai sei mesi di vita in poi, per la prossima epidemia di influenza, per far fronte a questi rischi di sovrapposizione». In questo modo non solo si faciliterebbe un’eventuale diagnosi di Covid-19 ma si ridurrebbero anche del 40% le ospedalizzazioni per influenza e del 45% le assenze stagionali per malattia, con un risparmio notevole per il SSN.
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