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Convivere bene con l’endometriosi

Una malattia «fantasma» che riguarda un’italiana su dieci. Se smascherata in fase iniziale non pregiudica le attività quotidiane e consente di avere figli

Convivere con l’endometriosi. Si dice che per evocare un fantasma serva un tavolino a tre gambe. Invece per l’endometriosi, la «malattia fantasma» per eccellenza dell’universo femminile, basta chiedere a una donna su dieci. Si stima siano almeno tre milioni le italiane che durante il ciclo mestruale (e non solo) hanno la vita infestata da dolori viscerali invalidanti, bollati troppo spesso come psicosomatici. «Sei troppo ansiosa», «esageri». Sono queste le frasi che si sentono dire da tutti, perché il fantasma è invisibile e spesso non viene riconosciuto, perfino dalle sue stesse vittime. Eppure esiste, eccome. Per fortuna non è così terrificante come si racconta. Accorgersi della sua presenza in maniera tempestiva, infatti, permette di renderlo inoffensivo per conviverci pacificamente.

Convivere con l’endometriosi: la prima regola è non farsi vincere dalla paura

«Molte donne sono spaventate dalla diagnosi di endometriosi. Temono di non poter avere figli e di essere condannate a soffrire le pene dell’inferno fino alla menopausa, ma non è così». A rassicurare ci pensa Massimo Candiani, direttore dell’unità di ginecologia e ostetricia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, docente ordinario e direttore e della scuola di specialità in ostetricia e ginecologia all’Università Vita-Salute San Raffaele. «Non bisogna dar troppo peso a quello che si legge sui siti internet, perché di solito vengono raccontate le situazioni più gravi ed eclatanti. Non rappresentano la maggioranza dei casi, ma finiscono comunque per determinare una percezione sbagliata e fuorviante dell’endometriosi».

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La seconda è non credere a tutto quello che si racconta sull’endometriosi

Sono tanti i falsi miti da sfatare riguardo a questa malattia. L’endometriosi è causata dalla crescita fuori sede del tessuto tipico della mucosa uterina, l’endometrio. Finisce per attecchire nei posti più impensati (dalla vescica all’intestino, dal fegato ai polmoni) per poi «risvegliarsi» a ogni ciclo, determinando un’infiammazione che può diventare cronica e degenerativa. «Non è sempre vero che l’endometriosi ti inchioda al letto, che per colpa degli interventi chirurgici le ovaie smettono di funzionare e che la fecondazione assistita è l’unica possibilità per diventare madre. Ogni caso è a sé e per inquadrarlo correttamente bisogna distinguere il tipo di endometriosi, capire quali organi siano interessati e quanto siano compromessi. Solo grazie a una diagnosi corretta e precoce possiamo impostare un percorso terapeutico quanto più conservativo e personalizzato in base alle esigenze della paziente».

Convivere con l’endometriosi: quali sono le cause?

A parole sembra facile, ma la realtà è un po’ più complicata. Come ogni fantasma che si rispetti, l’endometriosi è sfuggente ed elusiva. Del resto lo aveva ammesso anche John Sampson, il ginecologo statunitense che per primo ha dato una definizione della malattia nel 1940. Ancora oggi, a più di 80 anni di distanza, il mistero resta fitto, soprattutto riguardo alle sue cause. Una nuova teoria, recentemente rilanciata dai ricercatori della Simon Fraser University in Canada, ipotizza addirittura che il problema abbia origine nel grembo materno. Le donne svilupperebbero l’endometriosi perché ancor prima di nascere, durante lo sviluppo fetale, sarebbero state esposte a bassi livelli di testosterone.

Forte familiarità

L’ipotesi «è ancora tutta da verificare», sottolinea Candiani. Col suo gruppo di ricerca al San Raffaele è invece riuscito a dimostrare con numeri solidi l’esistenza di una forte familiarità per l’endometriosi. «Abbiamo raccolto dati genetici su migliaia di pazienti, ottenendo la casistica più numerosa mai avuta in Italia. Abbiamo scoperto che avere un caso di endometriosi in famiglia comporta un rischio di malattia dieci volte superiore alla norma. Per questo motivo, se una paziente con sintomi sospetti ha la mamma o la sorella che soffrono di endometriosi, farebbe bene a parlarne col proprio ginecologo per metterlo sulla pista giusta».

Convivere con l’endometriosi: la triade dei sintomi tipici

E allora quali sono i disturbi che devono far scattare il sospetto? Se i fantasmi si palesano con lamenti e rumore di catene, l’endometriosi si riconosce per:

  1. il dolore mestruale particolarmente intenso,
  2. il dolore profondo durante i rapporti sessuali,
  3. talvolta il dolore pelvico cronico che continua anche tra un ciclo e l’altro.

Questa triade di sintomi è cruciale, ma non esclusiva. Infatti si possono manifestare anche altri disturbi in base agli organi coinvolti. Alcune pazienti hanno sintomi:

  • urinari,
  • altre gastrointestinali,
  • altre ancora (ma per fortuna sono casi molto rari) durante il ciclo accusano dolori al torace dovuti alla presenza di endometrio sui polmoni, che può perfino portare all’accumulo di aria nello spazio pleurico, il cosiddetto pneumotorace.

Convivere con l’endometriosi: come si arriva alla diagnosi?

Affinché questi indizi diventino prove schiaccianti bisogna approfondire le indagini con una visita ginecologica, per valutare le parti anatomiche solitamente interessate dai focolai dell’endometriosi.  Poi con un’ecografia transvaginale, l’esame ideale soprattutto per verificare la salute delle ovaie, si capisce meglio. Se poi si sospetta che la malattia sia estesa anche ad altri organi, allora non resta che sottoporsi a una risonanza magnetica. Resta ancora un miraggio la possibilità di diagnosticare l’endometriosi con un semplice esame del sangue. La ricerca scientifica in questo settore sta lavorando alacremente. «Ma sarà molto difficile trovare un marcatore specifico della malattia. L’endometriosi ha una prevalenza altissima, pari a circa il 40% della popolazione femminile tra donne sintomatiche e asintomatiche, per cui non è detto che si riesca a trovare il bandolo della matassa».

Convivere con l’endometriosi: quali sono le terapie?

Per fortuna la ricerca si muove in modo più agile e spedito nel campo delle terapie, che oggi possono intrappolare il fantasma meglio del fucile protonico dei Ghostbusters.

Gli antinfiammatori solo occasionalmente

I farmaci antinfiammatori a cui molte donne si aggrappano per resistere ai dolori possono essere utili occasionalmente, nei giorni in cui i sintomi si fanno più acuti, ma non devono diventare «la cura».

La terapia ormonale

La strada maestra è quella della terapia ormonale, che serve a far «riposare» l’endometrio contrastando la produzione di estrogeni che lo alimenta. «Si possono usare pillole estroprogestiniche a basso dosaggio oppure pillole esclusivamente progestiniche. Quelle che abbiamo oggi a disposizione sono molto meglio tollerate rispetto a quelle del passato, danno maggiore sollievo e stabilizzano l’endometriosi per tempi più lunghi».

Menopausa artificiale, extrema ratio

Bisogna poi sfatare la falsa credenza che prima o poi tocchi a tutte affrontare dei periodi di menopausa artificiale indotta dai farmaci. Questa rimane una extrema ratio a cui si ricorre «in casi selezionati per raggiungere uno scopo ben preciso. Ad esempio per avere un periodo di “tregua” dal ciclo in previsione di una fecondazione assistita o di un intervento chirurgico».

La chirurgia mininvasiva

Quando i farmaci non bastano più, oppure la malattia ha creato aderenze tra i tessuti a livello pelvico o addominale, resta infine l’opzione chirurgica, sempre più mirata e mininvasiva. Le novità riguardano soprattutto «le cisti ovariche endometriosiche. Oggi possono essere eliminate con tecniche laser nel pieno rispetto della funzionalità ovarica». L’accesso avviene sempre per via laparoscopica, cioè attraverso piccoli buchi nella pancia. Il tessuto incriminato però non viene più prelevato con le pinze, col rischio di asportare porzioni di tessuto ovarico sano. Viene colpito e vaporizzato con il laser, senza generare traumi neppure a livello vascolare.

Convivere con l’endometriosi: la fertilità

Quasi il 60% delle donne con endometriosi non ha problemi di fertilità. «Questo significa che molte pazienti riescono a diventare mamme in modo naturale. Magari solo con un “aiutino” come la stimolazione ormonale dell’ovulazione o la correzione chirurgica di piccole alterazioni che interferiscono con la procreazione». Lo strumento principale per prevenire l’infertilità resta la diagnosi precoce, che consente di bloccare la malattia prima che danneggi l’apparato riproduttivo.

La crioconservazione del tessuto ovarico

In questi casi, soprattutto per le under 30, è possibile mettere la fertilità in cassaforte attraverso la crioconservazione degli ovuli o direttamente del tessuto ovarico. Quest’ultima procedura, ancora sperimentale, viene realizzata durante l’intervento chirurgico per la cura dell’endometriosi in donne con meno di 37 anni che ancora non hanno avuto figli. Crioconservare il tessuto ovarico offre diversi vantaggi . «Non richiede stimolazioni ormonali né la presenza di un partner. Permette di congelare follicoli che presentano un’età corrispondente a quella in cui viene eseguito il prelievo. Il nascituro presenterà pertanto un profilo di rischio di malattie cromosomiche corrispondenti all’età della mamma al momento del prelievo e non all’età della donna al momento dell’impianto tissutale». Il costo delle procedure di crioconservazione è ancora a carico delle pazienti. «Si sta lavorando affinché possa essere coperto dal Servizio sanitario nazionale così come accade per le pazienti oncologiche».

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