Dal rapporto I numeri del cancro in Italia 2020, redatto dalla Fondazione AIOM, il tumore al colon-retto rappresenta per incidenza la seconda neoplasia nella donna (11,2% di tutte le diagnosi) e la terza nell’uomo (12%). Fortunatamente può essere individuato precocemente grazie ai programmi di screening, inseriti nei livelli essenziali di assistenza (Lea), che prevedono che le persone tra i 50 e i 74 anni effettuino il test del sangue occulto nelle feci, su invito della propria Ats e con cadenza biennale. Nel caso poi di esito positivo, ci si deve sottoporre anche alla colonscopia, mirata ad accertare la presenza di eventuali lesioni sospette.
«Tuttavia quest’ultimo esame diagnostico suscita ancora molta reticenza da parte dei cittadini, spaventati non solo dalla procedura in sé ma anche dalla preparazione, necessaria per svuotare il colon e consentire una visione endoscopica ottimale» interviene Felice Cosentino, specialista in Gastroenterologia e in Chirurgia dell’Apparato Digerente ed Endoscopia Digestiva presso la Casa di Cura “La Madonnina” di Milano (Gruppo San Donato).
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Il “beverone” lassativo crea disagio e limita le attività quotidiane
Di solito infatti, tra il pomeriggio del giorno prima e la mattina stessa della colonscopia, il paziente deve assumere il tradizionale “beverone” lassativo di 2-4 litri a base di polietilenglicole, indispensabile per ripulire completamente l’intestino e consentire una corretta esplorazione delle sue superfici. «Purtroppo questo composto crea spesso disagi, come nausea e crampi addominali, e, nella giornata dell’assunzione, impedisce di svolgere le normali attività perché il paziente necessita continuamente di recarsi alla toilette. Inoltre, tale preparazione non sempre può essere assunta, a volte è controindicata e, nelle persone con stipsi importante, deve raggiungere anche 5-6 litri. I limiti del “beverone”, dunque, sono molti e per questo motivo nel 2010 ho messo a punto il colon wash, una metodica nuova, indolore, in grado di rendere più accettabile la fase preparatoria e avvicinare maggiormente le persone alla colonscopia» spiega il professor Cosentino.
Il colon wash sostituisce il “beverone” nel lavaggio intestinale
Il colon wash, che si esegue poco prima della colonscopia, è una procedura ambulatoriale semplice, che consente di rimuovere i residui fecali (anche stagnanti) all’interno dell’intestino. La mattina stessa dell’esame il paziente si sottopone a questo lavaggio intestinale profondo, senza dover assumere alcun beverone. L’unica preparazione richiesta consiste nel seguire alcune indicazioni alimentari, rese note al momento della prenotazione, e nell’assunzione di un blando lassativo, la sera prima, per ammorbidire le feci.
«Il paziente viene fatto accomodare su un lettino, in posizione supina o su un fianco. L’operatore introduce nel retto una cannula con due tubi: il primo serve per far entrare l’acqua tiepida nell’intestino, il secondo per far espellere il materiale fecale, che finisce in un sistema a circuito chiuso che fa sì che non si avvertano cattivi odori. Durante la procedura, l’infermiere incaricato pratica anche un massaggio addominale, per favorire la frammentazione e lo scollamento delle feci» continua il gastroenterologo.
I vantaggi del colon wash
La procedura messa a punto dal prof. Cosentino e poi adottata in numerose strutture italiane garantisce una pulizia intestinale ottimale, proprio come il classico “beverone”. A differenza di quest’ultimo, però, comporta numerosi vantaggi per il paziente. «Sottoponendosi al colon wash non bisogna assumere alcun composto lassativo e soprattutto non ci sono limiti alle attività quotidiane, visto che la procedura viene eseguita il giorno stesso della colonscopia. Le irrigazioni con acqua tiepida e le manipolazioni sull’addome regalano un senso di benessere istantaneo, che tende a perdurare anche nei giorni successivi: questa metodologia, infatti, “resetta” la flora batterica intestinale e, quindi, allevia disturbi fastidiosi come il gonfiore e il meteorismo.
Se il paziente soffre di stitichezza può sottoporsi a due trattamenti di colon wash (uno il giorno precedente e uno prima dell’esame). Infine, grazie al massaggio addominale e alle reazioni del carico dell’acqua, l’infermiera è in grado di capire se e quali problemi ha il colon del soggetto (ostacoli anatomici e funzionali, efficienza dei movimenti peristaltici, ecc.): questa è un’informazione fondamentale per il medico sia per la successiva
procedura endoscopica, sia per una eventuale futura terapia» spiega Cosentino.
Durata e procedura a domicilio del colon wash
Il colon wash dura circa 40-45 minuti. Terminato il lavaggio, il paziente può subito effettuare la colonscopia. Non ci sono controindicazioni se non quelle dell’esame diagnostico. Se il medico ritiene che il paziente possa fare la colonscopia, allora può anche sottoporsi al colon wash senza problemi. Se ci si attiene alle indicazioni, inoltre, non ci sono rischi di alcun tipo. «Ricordo, inoltre, che la procedura può essere eseguita anche a domicilio, con strumentazione portatile, in casi particolari, come pazienti allettati, disabili o con problemi di deambulazione» interviene Cosentino.
La colonscopia tradizionale ha dei limiti che possono essere superati con la robotica
Preparazione a parte, anche l’esame in sé preoccupa il paziente e crea qualche disagio. «Il colonscopio tradizionale è uno strumento flessibile che il medico inserisce nel retto e spinge verso l’alto, nell’intestino. Questa sollecitazione può comportare dolore quindi, affinché sia sopportabile, la procedura va fatta in sedazione, che comporta nelle 24 ore successive una forte limitazione delle attività lavorative e quotidiane e in qualche soggetto può essere controindicata. Non solo, la colonscopia convenzionale può comportare dei rischi, come lacerazioni o perforazioni. Sono infrequenti, certo, ma può succedere».
Questi limiti possono essere superati con la colonscopia robotica Endotics. «Questa metodica si avvale di una sonda usa e getta, cioè un cilindro in silicone di 23 cm (che si può allungare fino a 43 cm), che è collegato a un macchinario computerizzato tramite un tubicino sottile per il passaggio dell’aria, dell’acqua e delle pinze da biopsia. In testa e in coda a questo cilindro flessibile, che si inserisce nel retto del paziente, ci sono due sistemi di ancoraggio (clamper) che gli consentono di agganciarsi alla mucosa mediante una delicata suzione della stessa. Questo gli permette di avanzare (proprio come fa un bruco) lungo il colon in modo autonomo e senza alcuna spinta. E i movimenti della testa e di progressione nel colon vengono gestiti dall’endoscopista tramite una unità di comando esterna (joystick)» spiega il professor Cosentino.
I vantaggi della colonscopia robotica
I vantaggi della colonscopia robotica sono numerosi. «L’esame non necessita di alcuna sedazione, quindi il paziente può riprendere le sue attività e tornare a casa subito dopo, senza dover rimanere in osservazione. Lo strumento si allunga e si accorcia sfruttando il sistema di ancoraggio presente in testa e in coda quindi, non necessitando di un’azione meccanica, non può causare lacerazioni o perforazioni. Ha la stessa affidabilità diagnostica di quella tradizionale, può introdursi in colon particolarmente lunghi, offre la possibilità di eseguire biopsie e rimuovere piccoli polipi (15-20 mm). Nel caso di polipi di dimensioni maggiori, bisogna procedere con la colonscopia tradizionale, che si fa subito dopo senza dover tornare in ospedale o in clinica in un secondo momento. Infine il sistema Endotics è monouso e fornito in confezione sterile, pertanto non esistono rischi di trasmissione di infezioni» puntualizza lo specialista.