Chi ha avuto almeno una volta nella vita la cistite (e secondo i dati, parliamo di una donna su due, contro l’1-2% degli uomini) sa bene quanto sia fastidiosa e invalidante. Dolore al pube, bisogno costante di fare la pipì, bruciore, talvolta anche sangue. Perciò, quando arriva, non si desidera altro che farla scomparire. E per farlo, spesso, si ricorre all’antibiotico. Quello a base di fosfomicina è talmente comune che molte donne ne conoscono il nome commerciale a memoria. Telefonano al medico di base per farselo prescrivere con urgenza oppure convincono il farmacista a venderlo anche senza ricetta, sostenendo che il dolore è insopportabile e che l’hanno sempre preso senza problemi.
I problemi, invece, ci sono. Mettendo insieme l’alta incidenza del disturbo, la rapidità di prescrizione di un medico di famiglia e il senso di solidarietà di un farmacista di fronte a una paziente disperata, si può comprendere facilmente perché, quando si parla di cistite, si parla necessariamente anche di antibiotico-resistenza. E, quindi, della necessità di diffondere l’utilizzo di rimedi alternativi, soprattutto naturali. Tra questi, gli integratori a base di D-mannosio, mirtillo rosso e uva ursina. Almeno nel tempo che intercorre tra l’insorgenza dei sintomi e l’esito dell’urinocoltura. L’unico strumento diagnostico che permette allo specialistica di capire se la cistite è infettiva (e non infiammatoria) e qual è la sensibilità del batterio che l’ha causata per decidere la corretta dose di farmaco.
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Cura della cistite: cosa dicono le linee guida
Cambiare passo, però, è difficile. Un po’ perché si tratta di una prassi radicata, un po’ per le linee guida dell’European Association of Urology, che indicano proprio l’antibiotico come prima linea terapeutica per il trattamento della cistite acuta. Nelle stesse pagine, il D-mannosio viene citato come molecola promettente. «Studi dimostrano che una dose giornaliera di 2 grammi di D-mannosio è significativamente superiore al placebo ed efficace quanto 50 milligrammi di nitrofurantoina (un antibatterico, ndr) nel prevenire infezioni del tratto urinario ricorrenti», scrivono gli esperti. Ma i dati sono «indicativi e non sufficienti per una raccomandazione». La profilassi con mirtillo rosso, allo stesso modo, non viene suggerita a causa di «studi limitati» e «risultati contraddittori».
Ricerche più recenti, e di maggior supporto a entrambi i rimedi, sono però state condotte. In particolare sul D-mannosio, uno zucchero in gran parte eliminato dalle urine che agisce impedendo al batterio che causa la cistite di aderire alle cellule uroteliali favorendone il distacco e lo smaltimento con il flusso urinario. Il problema, spiega Luca Cindolo, responsabile di urologia alla Clinica Villa Stuart di Roma, «è che gli studi condotti finora su questi rimedi non hanno una portata sufficientemente ampia per inserirsi nelle linee guida e dare una spallata a quelli sul trattamento con antibiotici. Una letteratura scientifica imponente, seppur risalente agli anni Ottanta-Novanta, quando il problema dell’antibiotico-resistenza non era ancora così vivo».
Alcuni Paesi però si stanno muovendo. L’Inghilterra, ad esempio, «ha finanziato uno studio per validare l’impiego del D-mannosio come primo rimedio utile a dare sollievo alla paziente e temporeggiare in attesa dei risultati dell’urinocoltura», racconta lo specialista, «riducendo così il ricorso all’antibiotico nell’immediato. I risultati dovrebbero essere pubblicati il prossimo anno».
I numeri dell’antibiotico-resistenza
Che il problema della resistenza agli antimicrobici sia un tema, mondiale, europeo ma sopratutto italiano, lo dicono alcuni dati. Prima di tutto il Rapporto nazionale sull’uso degli antibiotici in Italia del 2019, in cui emerge che il sistema sanitario italiano, rispetto a quello di altri Paesi Ue, è quello che spende di più nell’acquisto di medicinali contro i batteri: 16,5 milioni contro i 10 milioni, massimo 13, di altri (è la categoria di cui l’Italia acquista più farmaci, subito dopo gli antitumorali). Sempre nello stesso rapporto, dall’analisi delle prescrizioni ambulatoriali di antibiotici per specifiche patologie infettive, risulta che in oltre il 25% dei casi i medici di famiglia fanno una prescrizione inappropriata dei farmaci. Il dato vale per tutte le condizioni cliniche studiate, tra cui compare anche la cistite non complicata.
A livello globale, invece, i dati dell’European Centre for Disease Prevention and Control americano hanno rivelato che contro l’Escherichia coli, nel 75-95% dei casi il principale responsabile delle infezioni del tratto urinario (seguito da Staphylococcus aureus e Proteus), l’inefficacia degli antibiotici è arrivata al 64,5% per le aminopenicilline, al 41% per i fluorochinoloni e al 28,7% per le cefalosporine di terza generazione. Le ricadute cliniche dell’aumento dell’antibiotico-resistenza sono, oltre a una ridotta efficacia dei farmaci, una maggiore morbosità (e mortalità) delle patologie che i batteri causano, maggiori costi sanitari, potenziale diffusione della resistenza ad altri individui e ad altri patogeni.
Cistite: prima della cura, capirne la tipologia
Per ridurre il ricorso agli antimicrobici e allo stesso tempo trattare i sintomi della cistite è quindi necessario un lavoro di squadra. Che riduca al minimo il fai-da-te del paziente e la prescrizione facile del medico. Il primo passo è capire di che cistite si tratta. Acuta o ricorrente (si definisce così quando si manifestano più di due episodi in sei mesi o più di tre in un anno), colpisce comunemente le donne in età fertile e, più di frequente, quelle sessualmente attive. Circa il 4% dei casi, infatti, si manifesta a distanza di uno-tre giorni dal rapporto.
Cistiti infiammatorie
«In genere le cistiti che insorgono a seguito dell’attività sessuale non sono infettive, quindi causate da un batterio. Ma infiammatorie, cioè generate da un trauma meccanico a cui uretra e vescica sono sottoposte durante i rapporti», spiega Paola Pifarotti, uroginecologa e dirigente medico presso la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. «I consigli per evitarle sono curare la secchezza vaginale, normalizzarne il pH e il microbioma, avere rapporti a vescica vuota e una corretta igiene intima».
Il trattamento varia a seconda che la cistite sia effettivamente causata dall’attività sessuale oppure no. «Se lo è, si cura con un disinfettante delle vie urinarie a basso dosaggio, la nitrofurantoina, che viene somministrato per via orale tutte le volte che si ha un rapporto per circa due mesi. L’azione antinfiammatoria del farmaco, associata ad almeno due litri d’acqua tutti i giorni, porta, nella maggior parte dei casi, alla risoluzione delle cistiti post rapporto».
Cistiti legate ad altre patologie
Se invece il disturbo insorge dopo il rapporto ma è correlato ad altri sintomi, come dolore vulvare, cambia la diagnosi e quindi anche la terapia. «In questi casi è importante indagare per escludere che la disuria non sia una conseguenza della vulvodinia causata da neuropatia del nervo pudendo», specifica l’esperta. «C’è poi una piccola fetta di cistiti infiammatorie definite interstiziali, ad andamento cronico più complesso, che necessitano di una diagnosi istologica e una terapia specifica. Infine, una parte ancora minima è iatrogena. Cioè conseguente ad altre terapie, ad esempio radianti pelviche, o causata da corpi estranei, come i cateteri».
Cistiti infettive: serve l’urinocoltura
Anche se la maggior parte delle cistiti che insorgono dopo un rapporto sessuale è infiammatoria, per essere certi di aver iniziato il trattamento corretto gli esperti suggeriscono di fare comunque un’urinocoltura, in grado di rilevare l’eventuale presenza di batteri patogeni. «È importante eseguire l’esame culturale delle urine data l’elevata incidenza di cistiti batteriche. Dopo le polmoniti, infatti, sono le più comuni infezioni», spiega Pifarotti.
Perché le donne sono più esposte alla cistite?
La brevità dell’uretra femminile, che misura circa 3-4 centimetri contro i 18-20 di quella maschile, nonché la sua vicinanza alla vagina e al retto, la rende infatti sensibile sia ai traumi meccanici dovuti al rapporto sessuale (soprattutto se la lubrificazione è scarsa), sia all’ingresso dei batteri provenienti dall’intestino (come detto, in primis l’Escherichia coli) che giungono nella vescica attraverso l’uretra generando cistiti batteriche.
«Questo accade soprattutto nelle donne affette da stipsi. Perché le feci che ristagnano più a lungo nell’intestino favoriscono la proliferazione dei batteri intestinali responsabili delle cistiti infettive», fa sapere l’uroginecologa. «Ma altre fasce esposte alla cistite infettiva acuta, anche recidivante, sono le donne in menopausa e gravidanza. Le prime a causa di una carenza di estrogeni, le seconde per cambiamenti ormonali e anatomici che rendono più semplice il passaggio degli agenti patogeni verso l’apparato urinario inferiore».
Terapia mirata con l’antibiogramma
L’urinocoltura si abbina sempre all’antibiogramma. Ossia l’analisi degli antibiotici a cui è sensibile il batterio potenzialmente trovato nelle urine. Attraverso la rilevazione della MIC, cioè della concentrazione minima dell’antibiotico in grado di inibire la crescita di quel determinato patogeno, l’esame permette di capire quale dose e tipologia di farmaco sono necessari per curare la paziente. Il test permette una terapia mirata, finalizzata a ridurre al minimo i fenomeni di antibiotico-resistenza.
Cistite: quando ricorrere agli antibiotici
Il problema di questo percorso diagnostico sono le tempistiche. Se una donna non ha sintomi forti, è disposta ad aspettare i due-tre giorni necessari all’esito dell’urinocoltura. Altrimenti, se la cistite è invalidante e il dolore importante, va presa una decisione immediata. «È il motivo per cui spesso si prescrive subito l’antibiotico. Senza aspettare il risultato dell’esame colturale delle urine. L’antimicrobico viene somministrato in tempi brevi anche in presenza di febbre, perché significa che ci si trova di fronte a una cistite complicata, cioè risalita all’apparato urinario superiore, oppure nei casi di cistite emorragica», riprende Pifarotti.
Cistite: quando ricorrere ai rimedi naturali
«Nei casi in cui, invece, la paziente può attendere l’esito dell’esame, ha senso suggerire integratori a base di D-mannosio, mirtillo rosso o uva ursina per ridurre l’intensità dei sintomi e capire qual è il trattamento più adatto». Questo può farlo il medico di base, lo specialista oppure il farmacista, un interlocutore frequente delle donne colpite da cistite. Secondo Salvatore Cassisi, presidente di Sistema Farmacie Italia, l’approccio del professionista nei confronti del disturbo negli ultimi anni è totalmente cambiato. «Oggi abbiamo a disposizione una serie di rimedi naturali che permettono di gestire il disturbo in modo ottimale. Sia nella fase acuta sia in quella recidivante», conferma. «Nel primo caso consigliamo integratori naturali a base di D-mannosio, cranberry e/o uva ursina in associazione a fermenti lattici specifici per migliorare l’equilibrio della flora batterica vaginale. Inoltre un minore consumo di zuccheri e prodotti raffinati».
Non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino l’efficacia di una dieta nella prevenzione della cistite, ma dato che l’alimentazione influisce sul microbiota intestinale e l’equilibrio della flora batterica è in grado di innescare, migliorare o peggiorare svariate malattie, cibi eccessivamente raffinati, speziati o piccanti sono fortemente sconsigliati se si soffre di cistiti recidivanti.
L’esame delle urine si fa anche in farmacia
«In alternativa, consigliamo prodotti per rinforzare le difese immunitarie. Soprattutto se la cistite insorge nei cambi di stagione. E sempre la possibilità di fare l’esame delle urine. Anche perché da qualche anno», conclude Cassisi, «si può fare direttamente in farmacia con l’ausilio di uno strumento che permette di acquisire una serie di valori sovrapponibili a quelli che si ottengono nei laboratori di analisi. Molte farmacie lo stanno adottando e prevedo che in un paio di anni lo avranno tutti. Potrebbe accelerare i tempi diagnostici e aiutare a contrastare il fenomeno delll’antibiotico-resistenza».