Niente più vistose cicatrici sul torace, né forte dolore post-operatorio o lenti recuperi: il futuro della cardiochirurgia è sempre più mininvasivo. La messa a punto di tecniche meno gravose e impattanti per il paziente, coadiuvata dall’innovazione dei dispositivi medicali e dal miglioramento della diagnostica preoperatoria, consente di ridurre sensibilmente il trauma chirurgico rispetto all’approccio standard in sternotomia. Ciò non solo migliora l’esperienza del paziente che subisce un intervento importante come quello al cuore ma permette anche di curare persone sempre più anziane e con patologie associate, ottenendo risultati sorprendenti che, una volta, non erano nemmeno ipotizzabili.
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Quali sono i limiti della cardiochirurgia tradizionale?
«Per poter comprendere l’importanza della mininvasività, bisogna partire dal concetto di chirurgia convenzionale in sternotomia, ossia con l’apertura completa del torace» precisa il Dott. Mattia Glauber, Responsabile dell’Unità Operativa di Cardiochirurgia Mininvasiva dell’Istituto Clinico Sant’Ambrogio (struttura del Gruppo San Donato). «La sternotomia consiste, appunto, in un’incisione longitudinale di 20 centimetri o più lungo lo sterno, per aprirlo in due parti e creare così l’accesso al cuore e a tutte le strutture a esso connesse: in questo modo, il chirurgo può intervenire, quale che sia la patologia cardiaca presente. Alla fine dell’intervento, lo sterno viene richiuso mediate fili metallici, che possono rimanere nell’organismo a vita o essere rimossi in caso di necessità».
A causa dell’invasività e del trauma dell’intervento, l’ospedalizzazione può essere prolungata con un recupero funzionale post-operatorio di circa 6-8 settimane, il paziente può avvertire dolore sternale per parecchio tempo e, talvolta, l’esito cicatriziale è particolarmente antiestetico.
Endoscopica: la nuova frontiera della mininvasività
Molto diverso è, invece, l’approccio mininvasivo. «In questo caso si effettua un’incisione toracica laterale di circa 5-6 centimetri e, grazie a una leggera divaricazione delle coste e con l’ausilio di una telecamera ingrandente ad alta definizione e di strumentario dedicato, si raggiunge l’area cardiaca da trattare» continua il Dott. Glauber. Un ulteriore avanzamento nel concetto di mininvasività è rappresentato poi dall’approccio endoscopico. «Si tratta di una tecnica ancor meno traumatica rispetto alla chirurgia mininvasiva» spiega Glauber. «Anziché un’apertura di 5-6 centimetri sul costato e della visione video-assistita (che consente sia di guardare la struttura cardiaca attraverso la videocamera sia direttamente coi propri occhi attraverso l’incisione), con l’endoscopia si esegue un taglietto ancora più piccolo, di circa 1-2 centimetri, attraverso il quale viene inserita la telecamera per eseguire l’intervento guardando esclusivamente a monitor».
Quali patologie si possono trattare con un approccio mininvasivo/endoscopico?
Alla luce di quanto detto, però, molti si chiedono se la chirurgia mininvasiva, e in particolare l’endoscopia, possa essere applicata a qualsiasi patologia. «Con l’approccio mininvasivo si possono trattare quasi tutte le malattie cardiache, come le valvulopatie aortiche, mitraliche e tricuspidaliche, gli aneurismi dell’aorta ascendente, la malattia coronarica, i difetti congeniti del cuore, la cardiomiopatia ipertrofica, i tumori cardiaci, le aritmie cardiache. Con l’endoscopia, invece, il campo delle applicazioni si riduce leggermente ma è comunque perfettamente indicata nella chirurgia della valvola mitralica e aortica, nelle resezioni di masse cardiache e nella chiusura dei difetti interatriali» spiega nel dettaglio il Dottor Glauber.
Quali sono i vantaggi della cardiochirurgia mininvasiva ed endoscopica?
I vantaggi della cardiochirurgia mininvasiva, e nello specifico di quella endoscopica, sono numerosi. «Rispetto a un intervento in sternotomia, si ottiene una riduzione importante del trauma chirurgico, di sanguinamenti (e quindi di necessità di trasfusioni), di risposte infiammatorie, di complicanze infettive respiratorie. Il paziente poi avverte meno dolore e stress post-operatori, il risultato estetico è migliore, la degenza ospedaliera è ridotta e il recupero funzionale avviene in 2-3 settimane, dopo le quali si possono riprendere le normali attività, anche lavorative. Lo specialista, inoltre, può gestire eventuali complicanze che potrebbero subentrare durante l’intervento e, grazie alla telecamera a fibre ottiche, può godere di una visione ottimale ingrandita di molte volte e in alta definizione» puntualizza il cardiochirurgo.
L’importanza di affidarsi a centri di grande esperienza
Bisogna sfatare il mito secondo cui le tecniche mininvasive comportino un rischio maggiore per i pazienti rispetto alla chirurgia tradizionale e che non consentano al cardiochirurgo di effettuare gli interventi con altrettanta precisione, sicurezza e qualità di risultati. Nei centri d’eccellenza, come quello diretto proprio dal Dott. Glauber, il volume di casi e quindi l’esperienza per questo tipo di attività è tale che i rischi sono spesso minori rispetto a quelli della chirurgia tradizionale in sternotomia. «Se la tecnica viene utilizzata raramente è possibile che si verifichino complicanze, perché mancano spesso competenze e conoscenze consolidate, ma se ci si affida a mani esperte strutture ad alto volume, come appunto la nostra, il paziente può averne solo vantaggi».
Oggi la cardiochirurgia mininvasiva è ancora scarsamente diffusa sia a livello nazionale sia internazionale, e l’endoscopia lo è ancora di meno: in Italia, infatti, si esegue soltanto in 2-3 centri. «Da tre mesi circa, insieme ad altri colleghi europei, abbiamo fondato un Club di chirurghi endoscopici per promuovere questo tipo di conoscenze e di tecniche e dare l’opportunità ai giovani specialisti di acquisire le competenze necessarie per intraprendere questo percorso. Il futuro della cardiochirurgia non può che andare in questa direzione, innanzitutto e primariamente per il bene dei nostri pazienti» conclude il medico.