I fattori di rischio dell’Alzheimer si possono dividere in due categorie. Quella dei fattori di rischio “non modificabili” e quella dei fattori di rischio “modificabili”. Mentre sui primi non è possibile intervenire, sui secondi è possibile fare prevenzione ottenendo anche buoni risultati.
In questo articolo
L’esperto spiega chi sono i soggetti a rischio
Stefano Cappa, ordinario di Neurologia, Scuola Universitaria Superiore di Pavia.
Fattori di rischio dell’Alzheimer non modificabili
Uno dei fattori di rischio non modificabili è rappresentato dall’età. Con l’avanzare dell’età incrementa anche il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. La maggior parte delle persone sviluppa l’Alzheimer dopo i sessantacinque anni e, da questo momento, l’incidenza di malattia incrementa in modo esponenziale fino a circa ottanta anni. Un secondo fattore di rischio è rappresentato dalla genetica. Alcune forme di demenza sono definite sporadiche, cioè si manifestano senza ereditarietà tra le generazioni di una famiglia. Altre forme invece, chiamate familiari, si manifestano in due o più persone appartenenti alla stessa famiglia. Queste ultime possono essere causate da una mutazione genetica che può essere trasmessa dal genitore al figlio con una probabilità del cinquanta per cento. Un altro fattore genetico di suscettibilità è legato al gene APOE. Una sua specifica variante conferisce un rischio aumentato di sviluppare la malattia di Alzheimer, ma non la assoluta certezza.
Fattori di rischio dell’Alzheimer modificabili
La letteratura continua a mostrare un grande interesse verso i fattori di rischio modificabili. I principali fattori di rischio modificabili sono associati allo stile di vita e alla presenza di altre malattie
- inquinamento
- assunzione di alcol
- carenza di vitamine
- scarsa attività fisica
- scarsa attività mentale e sociale (solitudine)
- cattivo riposo
- glicemia alta e diabete
- ipercolesterolemia
- ipertensione
- obesità e regime alimentare poco sano
- malattie infiammatorie intestinali
- traumi cerebrali
- patologie cardiovascolari
- bassa scolarità e stile alimentare poco sano
Vediamo di seguito alcuni studi scientifici sui fattori di rischio dell’Alzheimer modificabili.
Inquinamento
Da anni gli scienziati studiano ad esempio il rapporto tra Alzheimer e smog, scoprendo sempre meglio il meccanismo della malattia. Ora due studi, uno americano e l’altro svedese tornano a indagare sugli effetti dello smog sul nostro cervello.
I ricercatori della Brown University School of Public Health a Providence negli Stati Uniti hanno messo a confronto i dati dei residenti di diverse zone di New York, dimostrando che più l’aria è inquinata, più veloce è il declino cognitivo. Da qui gli autori dello studio si chiedono se i limiti imposti dalla legge siano adeguati per prevenire molte malattie e gravi conseguenze. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Neurology.
Un team di ricerca del prestigioso Karolinska Institute di Stoccolma, in Svezia, ha invece sottolineato come ci sia un legame diretto tra l’aria che respiriamo e la salute del nostro cervello. Ma c’è di più. I ricercatori in forza all’istituto di ricerca svedese hanno stabilito che l’esposizione all’inquinamento atmosferica faccia impennare le probabilità di sviluppare la demenza. Il dato che preoccupa è che le rilevazioni sono state fatte nel centro di Stoccolma dove i livelli di polveri sottili sono ampiamente al di sotto di quello che avviene nella gran parte delle città europee e statunitensi, Italia in testa.
Quindi, anche a livelli di smog da noi impensabili ci sono rischi per la salute. Le probabilità di ammalarsi ad esempio di Alzheimer crescono del:
- 50% per un aumento di 0,88 microgrammi al metro cubo della concentrazione di Pm2.5
- del 14% per un incremento di 8,35 microgrammi al metro cubo della concentrazione di ossidi di azoto.
Secondo gli scienziati questo fenomeno avviene, perché lo smog colpisce i vasi sanguigni. Quasi la metà dei pazienti di demenza dovuta all’esposizione ad aria inquinata infatti si è ammalata di demenza in seguito a un ictus.
Colesterolo alto
Il colesterolo ha un ruolo nell’esordio e nella progressione dell’Alzheimer perché favorisce la formazione di aggregati tossici di beta-amiloide nel cervello. La beta-amiloide è la molecola marcatrice della patologia. È quanto emerge da un nuovo studio condotto all’Università di Cambridge e pubblicato sulla rivista Nature Chemistry.
Questo non significa che l’ipercolesterolemia è direttamente collegata alla malattia di Alzheimer. «La nostra scoperta principale è che il colesterolo gioca un ruolo centrale nell’aggregazione di beta-amiloide, che altrimenti impiegherebbe secoli ad aggregarsi spontaneamente nel cervello» ha spiegato il ricercatore italiano Michele Vendruscolo, partecipante allo studio. «In presenza di colesterolo si aggrega molto più velocemente, causando la formazione di placche».
Il colesterolo è una componente importante delle membrane dei neuroni e si trova – a concentrazione strettamente controllata – soprattutto sulle vescicole sinaptiche. Queste sono microscopiche bolle che servono al rilascio dei neurotrasmettitori. Le molecole di beta-amiloide si concentrano in prossimità delle vescicole. Quando il controllo della concentrazione di colesterolo sulle membrane è per qualche motivo compromesso, ad esempio a causa dell’invecchiamento, il suo eccesso può favorire l’aggregazione di beta-amiloide. Secondo un altro studio, anche il rischio di Alzheimer precoce può aumentare se il colesterolo è alto.
Carenza di sonno e pochi sogni
Dormire poco e male aumenta i livelli delle proteine tau e amiloide nel cervello, associate alla demenza. Potrebbe essere questo il motivo per cui la persone che soffrono di una carenza cronica di sonno hanno un rischio maggiore di ammalarsi di Alzheimer col passare degli anni. A indicarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Brain dalle università di Washington e Stanford in collaborazione con la Radboud University dei Paesi Bassi.
I risultati delle analisi dimostrano che dopo una singola notte agitata la proteina beta amiloide sale del 10%. La proteina tau, invece, fa registrare un’impennata quando i disturbi del sonno si protraggono per diverse notti, come accaduto ad alcuni partecipanti allo studio. Per quanto eloquenti, questi dati vanno comunque presi con le pinze. Come sottolineano gli stessi ricercatori, non bisogna pensare che una singola notte, o perfino una settimana insonne, possano aumentare il rischio di Alzheimer. È molto probabile che una bella dormita possa cancellare i loro effetti riportando i livelli di amiloide e proteina tau nella norma. «Il vero problema sono i disturbi del sonno cronici», spiegano gli esperti.
Se invece la notte sognate tanto, siatene felici. Uno studio della Boston University School of Medicine ha dimostrato che chi sogna molto, abbassa le probabilità di ammalarsi di Alzheimer. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Neurology. Responsabile di questo beneficio è la fase REM, che si caratterizza per movimenti oculari ritmici. È questa la fase in cui i sogni sono più intensi, in cui c’è un’aumentata attività del cervello, la temperatura corporea si alza e il respiro si fa più veloce. Chi vi trascorre minor parte del proprio riposo ha un aumentato rischio di sviluppare demenza.
Diabete e glicemia alta
Da anni gli esperti sostengono che fra diabete e malattia di Alzheimer ci possa essere un legame. Livelli elevati di glucosio nel sangue, infatti, possono far aumentare rapidamente i livelli di beta-amiloide nel cervello. Questa proteina è la componente chiave delle placche cerebrali che caratterizzano i malati di Alzheimer e il cui accumulo è ritenuto un driver della serie di modifiche cognitive e comportamentali che portano allo sviluppo della malattia.
Esami del sangue: la guida completa
Solitudine
La solitudine e la percezione di non avere dei contatti significativi rappresentano un rischio maggiore di sviluppare disturbi cognitivi. Mentre essere sposati e avere un numero consistente di relazioni intime con amici e familiari sono correlati a un minor rischio di demenza.
I risultati di un ingente studio del College of Medicine della Florida State University (su oltre 12 mila persone) ha dimostrato che in 10 anni il rischio di sviluppare una forma di demenza per chi si sente solo è del 40 per cento. La ricerca ha messo in evidenza che le persone sole presentano molti fattori di rischio per le malattie neurodegenerative. I principali sono ipertensione, diabete e depressione. Generalmente sono poco attivi e fumano. In realtà però anche per chi si sente solo e non presenta questi fattori di rischio, le probabilità di sviluppare una forma di demenza restano al 40 per cento.
La fibrillazione atriale
Anche la fibrillazione atriale è un fattore di rischio dell’Alzheimer perché aumenta il rischio di demenza. Questo disturbo al cuore si caratterizza per la perdita di coordinazione della contrazione delle fibre della muscolature atriale con conseguente irregolarità delle contrazioni del cuore. Di solito si accompagna a un aumento della frequenza media, che è il numero delle pulsazioni che si contano in un minuto. Solo molto raramente e in genere tra le persone molto anziane si può accompagnare alla riduzione del numero delle pulsazioni. In pratica ci sono palpitazioni o tachicardia e sentiamo mancare il respiro. Secondo uno studio, le persone con fibrillazione atriale hanno un rischio del 50% più alto di sviluppare demenza. Specificatamente per l’Alzheimer il rischio cresce del 30%, mentre quello di demenza vascolare raddoppia.