Nello scorso decennio è stata definita come “l’intervento chirurgico del XX secolo”. La protesi d’anca, diffusasi come rimedio per le fratture, è diventata indispensabile anche nei casi di artrosi e di patologie degenerative. È stato uno degli argomenti al centro del congresso internazionale Efort di ortopedia e traumatologia di Praga, dove abbiamo incontrato Guido Grappiolo, responsabile dell’Unità operativa di chirurgia dell’anca e protesica di anca e ginocchio dell’Istituto Clinico Humanitas di Milano. Con lui abbiamo parlato delle nuove tecniche di intervento e dei nuovi materiali impiegati.
In che cosa consiste l’intervento per la protesi d’anca?
L’anca è un’articolazione mobile che unisce il tronco alla coscia e cioè alla “gamba”. La protesi di anca, ovvero la sostituzione dell’articolazione malata con una artificiale, si rende indispensabile nel caso di artrosi o di frattura e comunque in tutte quelle situazioni che presentano un assottigliamento della cartilagine con deformazioni ossee in seguito a patologie degenerative/malformative.
Non esistono terapie farmacologiche o approcci fisioterapici che possano risolvere a questo punto il problema. L’unico valido intervento, risolutivo, è la protesi di anca che restituisce una qualità della vita ottimale e oltre a far scomparire il dolore. Con l’allungarsi della vita è un intervento sempre più comune. In Italia vengono eseguiti ogni anno 90mila interventi di protesi d’anca.
Da che cosa è causata l’artrosi dell’anca?
Ci sono diverse cause, a cominciare da quelle legate all’età, normalmente questa patologia insorge dopo i 50 anni.Esiste anche una certa familiarità e predisposizione genetica. Si è visto che alcune malattie come la displasia con il difetto di centratura dell’anca possono predisporre all’insorgenza di artrosi.
Questa patologia non è strettamente prerogativa dei soggetti adulti, ma può colpire con il tempo anche i giovaniche praticano alcuni sport come il calcio o la pallanuoto a livello agonistico. Il sovraccarico e la predisposizione genetica, in fase di accrescimento, possono di fatto contribuire al presentarsi della patologia: se si ha un’anca non centrata l’attività sportiva agonistica con movimenti torsionali in velocità, come ad esempio il calcio e la pallanuoto, non è indicata. Si consiglia invece uno sport moderato.
Quali sono i sintomi e quali esami occorre fare per diagnosticarla?
Il sintomo è il dolore, che colpisce l’inguine ma si può estendere anche al fianco e alla gamba. Di solito si avverte quando ci si muove e si riduce solo in parte con il riposo. Il primo esame a cui sottoporsi è la radiografia del bacino e assiale dell’anca, che rivela subito se c’è una patologia.
Quali sono le innovazioni più importanti?
La novità non sta nel materiale, il titanio è e rimane la scelta migliore, una garanzia, ma in come viene lavorato. Le nuove protesi in titanio trabecolato (una particolare forma del titanio che mima la morfologia dell’osso, ndr), come la più recente OsseoTi, hanno un altissimo grip che consente un ottimo fissaggio e una presa immediata sull’osso. L’altra grande novità, è che il polietilene utilizzato in queste protesi è arricchito di vitamina E, che funziona da antiossidante consentendo una minor usura e quindi una maggior durata della protesi. Secondo dati obiettivi, a distanza di dieci anni dall’impianto, una protesi d’anca rimane funzionale nel 95 per cento dei casi, dopo 25 anni nell’80 per cento. Ma non si può generalizzare perché la durata di un impianto dipende da molti fattori. Grazie all’innovazione tecnologica degli ultimi anni in questo settore, oggi possiamo dire che la durata di una protesi, impiantata dopo i 60 anni, è definitiva, mentre tra i 50 e i 60 la durata è correlata allo stile di vita.
Il decorso post operatorio: quanto dura e quando si ricomincia a camminare?
L’intervento per la protesi di anca è un’operazione che restituisce la mobilità e offre un cambiamento radicale nella qualità della vita. Le vie di accesso che considero poco invasive sono tre: anteriore, anterolaterale e posteriore. Al giorno d’oggi si predilige un approccio multimodale che tenga conto non soltanto dell’aspetto chirurgico in sé, ma della totalità dell’equipe, dall’anestesista al fisioterapista. Ci sono centri di eccellenza che offrono questo tipo di approccio, che hanno come obiettivo la riduzione del dolore, della degenza e un recupero quasi immediato.
È importante rassicurare il paziente e fargli capire che non è malato, che dopo l’intervento la sua vita può riprendere tranquillamente, certo con le dovute accortezze. Nei primi tre mesi sono sconsigliati gli sport eccessivi, mentre praticamente da subito ci si può dedicare al nuoto o alla cyclette. Un corretto stile di vita, il controllo del peso, un’attività fisica moderata che prediliga bicicletta e nuoto, contribuiscono al benessere e alla durata della protesi.
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01/09/2015
Eliana Canova