Cuore che batte troppo lentamente, troppo velocemente oppure in modo irregolare: sono queste le sensazioni alla base delle aritmie, ovvero alterazioni della frequenza del battito cardiaco, che normalmente è compreso tra le 50 e le 100 pulsazioni al minuto. Seppur si tratti di un disturbo comune e nella maggior parte benigno, è importante monitorarlo, così da scongiurare il rischio di dover rinunciare all’attività sportiva.
In questo articolo
In Italia le aritmie riguardano un milione di persone
In Italia le aritmie riguardano un milione di persone e possono comparire a ogni età, anche se i soggetti maggiormente coinvolti sono gli over 60 e i giovani che svolgono attività sportiva regolare. Come spiega Francesca Chianura, esperta in cardiologia dello sport, «negli atleti la percentuale di aritmie risulta maggiore rispetto alla popolazione adulta in primis perché c’è un maggiore monitoraggio dello stato di salute anche in assenza di sintomi grazie ai controlli per le certificazioni mediche, poi perché in alcuni casi specifici tali alterazioni cardiache possono essere stimolate proprio dall’attività fisica, soprattutto quella praticata ad elevati livelli».
Seppur il più delle volte si tratti di aritmie innocue, come nel caso della bradicardia sinusale e della tachicardia sinusale, in alcuni casi possono essere indice di disfunzioni cardiache oppure di forme secondarie ad altre malattie congenite.
I segnali
Non sempre le aritmie si manifestano con segnali precisi ed evidenti. In linea generale i sintomi più comuni includono, oltre alla sensazione di battito cardiaco estremamente accelerato o alterato, dolore al petto, affanno, stanchezza e svenimento. Ecco perché «bisogna prestare particolare attenzione alle proprie sensazioni, ascoltando il corpo soprattutto quando si svolge attività sportiva» continua la cardiologa.
La presenza dei sintomi sopracitati non equivale però necessariamente alla presenza di un problema cardiaco, per questo è importante rivolgersi a uno specialista che, in base alle condizioni e allo stile di vita del paziente, può approfondire la sintomatologia e i rischi ad essa correlati. «In tal senso il ruolo del cardiologo è stabilire quali aritmie sono normali e quindi sicure, specie in una persona che pratica attività sportiva, e quali invece possono rappresentare un marker di una patologia cardiaca» aggiunge.
La diagnosi
Il primo step per accertare un’aritmia è l’elettrocardiogramma. L’esame diagnostico, che consente di registrare graficamente l’attività elettrica del cuore, «se fatto bene può restituire risposte concrete su possibili malattie genetiche e acquisite che possono essere alla base dell’aritmia» sottolinea l’esperta. Altrettanto importante è l’anamnesi che, tenuto conto della storia familiare del paziente, permette di arrivare ad una diagnosi completa ed accurata.
In alcuni casi possono rendersi necessari ulteriori esami di approfondimento tra cui l’ecocardiogramma color doppler, la registrazione Holter delle 24 ore oppure il test da sforzo massimale, l’angio-Tc coronarica e la risonanza magnetica cardiaca.
Come spiega la cardiologa, gli esami di screening dipendono dall’età del paziente. Nel caso di un giovane sportivo, la visita medico sportiva si prefigge come elemento essenziale da cui partire per costruire il percorso di salute di un’atleta. «In tal senso, i medici dello sport, attraverso l’elettrocardiogramma di base e la prova da sforzo possono notare alterazioni del battito cardiaco e valutare se sono necessari ulteriori accertamenti».
Il trattamento
Le aritmie, se curate, possono guarire e in alcuni casi scomparire autonomamente, come nel caso degli adolescenti. Per questo il trattamento dipende da diversi fattori quali i sintomi, le cause scatenanti, così come i disturbi e il rischio specifico del singolo paziente.
Nel caso di aritmie che prevedono una terapia farmacologica, possono essere prescritti farmaci antiaritmici o betabloccanti «che possono essere assunti in sicurezza anche durante l’attività sportiva, che in questo modo può essere svolta con un livello di sicurezza ancora più elevato, perché prevengono e proteggono da aritmie potenzialmente pericolose» sottolinea Chianura.
Sì allo sport, se praticato in sicurezza
Se le aritmie sono diagnosticate come benigne, quindi non espongono il paziente ad eventuali rischi, è possibile continuare a praticare attività sportiva in sicurezza, in accordo con il proprio cardiologo curante. Come precisa l’esperta, «nel caso di un adulto, il cosiddetto atleta master, bisogna evitare attività estreme in quanto possono avere effetti pro-aritmici. Attenzione quindi agli sport ad elevato impatto cardiovascolare quali il triathlon, il ciclismo oppure quelli in alta quota, soprattutto se svolti ad alto livello, in quanto espongono il cuore a sforzi importanti e per lunghi periodi di tempo».
Per quanto riguarda i giovani invece, dopo un’accurata valutazione, nella maggior parte dei casi «l’atleta può continuare a svolgere attività sportiva a tutti i livelli, a patto che sia costruita su misura da uno specialista in modo tale da ridurre il rischio di eventi avversi, mantenendo un buon grado di allenamento e garantendo tutti i benefici sulla salute che l’attività sportiva può dare».
Nel concludere l’esperta precisa però che nel caso di «determinate malattie, soprattutto genetiche, quali ad esempio la sindrome di brugada, la sindrome del QT lungo oppure delle alterazioni del muscolo cardiaco come la cardiomiopatia ipertrofica e la cardiomiopatia aritmogena» l’attività sportiva di qualsiasi tipo deve essere interrotta.