Aritmie negli sportivi. Uno dei problemi cardiaci più comuni di chi fa sport in modo agonistico o amatoriale è il disturbo aritmico, chiamato anche aritmia.
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Una persona con aritmia può fare sport?
«Assolutamente sì. Nell’ambito della nostra attività valutiamo spesso sportivi anche ad alto livello – spiega il professor Claudio Tondo, Responsabile dell’Unità di Aritmologia IRCCS del Centro Cardiologico Monzino di Milano. – Nel 75% dei casi riusciamo ad assicurare l’attività sportiva. Quindi con una terapia corretta si può avere una qualità di vita molto buona» .
Quali sono le cause dell’aritmia?
«Le cause possono essere diverse – spiega il professore. – Possono esserci:
CAUSE GENETICHE
Ci sono pazienti che hanno disturbi del battito cardiaco legate a anomalie genetiche, che possono essere riconosciute anche nei primi anni di vita.
CAUSE LEGATE AL MUSCOLO CARDIACO
Ci sono pazienti che non manifestano segnali neanche dopo un elettrocardiogramma di superficie, ma che, nel corso degli anni, possono poi avere aritmie per patologie del muscolo cardiaco e non dell’impianto elettrico. Si manifestano dopo i trent’anni. Situazione di tensione, di aumentata adrenalina, come quando si fa sport, possono agire su una situazione geneticamente già presente e possono in qualche modo fare uscire allo scoperto un problema di aritmia. Ad esempio se il soggetto ha una patologia del muscolo cardiaco poco nota durante una gara può succedere di avere disturbi del ritmo cardiaco che possono portare alla perdita di coscienza, ma anche alla morte.
CAUSE LEGATE AD ALTRE PATOLOGIE
Pazienti in età avanzata possono avere una patologia coronarica, un restringimento dei vasi coronarici, che può creare aritmie pericolose.
CAUSE LEGATE A FARMACI E DROGHE
Pazienti che usano farmaci o sostanze stupefacenti che possono provocare aritmie. Pensiamo al doping nello sport, che può dare aritmie pericolose.
CAUSE LEGATE AD ABUSO DI ALCOL E FUMO DI SIGARETTE
Colpisce spesso anche i giovani. In questi casi sono aritmie che si controllano facilmente, ma che devono essere tenuto sotto controllo. Anche la nicotina può dare aritmie.
Quali sono i sintomi?
«Il sintomo più frequente è il cardiopalma – spiega il professor Tondo – che consiste nel sentire il cuore che batte in modo irregolare. Generalmente non sentiamo che il nostro cuore batte. Quando lo sentiamo a riposo vuol dire che c’è qualcosa che non va. Tra i sintomi c’è anche la sensazione che manchi un battito, sintomo che viene riferito spesso dai pazienti e questo dà una sensazione di disagio. Si sente una strana sensazione in gola o a livello dello stomaco. Soggetti che hanno mancanza di fiato. Ad esempio mentre faccio le scale di casa, mi affatico troppo. C’è anche la possibilità di perdita dell’equilibrio. Succede con un battito molto accelerato o molto diminuito. Cade la pressione e il soggetto sviene. L’evento più drammatico è infine la perdita di coscienza. Ci sono anche sintomi psicologici, che avvengono perché il paziente non riesce ad identificare la ragione per cui sente ansia o non riesce a concentrarsi».
Come si procede alla diagnosi?
«Si può procedere anche a un’auto diagnosi: la presa del polso – puntualizza il professor Tondo. – Noi della Società Europea di Cardiologia nelle varie indicazioni al paziente insegniamo come sentire il polso. È l’atto più semplice per capire se c’è qualcosa che non va. Bisogna trovare il proprio polso usando l’indice e il medio. I battiti normali sono tra i 60 e i 100 al minuto. Poi ovviamente ci sono i metodi più classici come l‘elettrocardiogramma o le registrazioni elettrocardiografiche prolungate, il cosiddetto Holter che può essere di 24, 48, 72 ore o anche una settimana. I due esami danno ovviamente il quadro preciso della situazione».
Quali sono le cure?
«Nella stragrande maggioranza di casi ci sono diversi farmaci che consentono una buona qualità della vita – spiega il professore. – Ci sono aritmie molto modeste per le quali non diamo farmaci, tranquillizziamo il soggetto, perché spesso sono episodiche e passano, perché spesso sono associate a disturbi gastrici o gastroesofagei. Qui è importante avere un’alimentazione corretta. Oltre ai farmaci ci sono gli interventi chirurgici. Entriamo con sonde che ci consentono di procedere allo studio elettrofisiologico, che significa valutare l’entità e la gravità delle aritmie e capire da dove nascono e nello stesso tempo eseguiamo l’atto terapeutico, cioè facciamo l’ablazione, in pratica l’eliminazione di quei circuiti elettrici che possono essere responsabili dell’aritmia. Viene consigliato laddove il paziente è fortemente sintomatico».
«Il pacemaker viene installato laddove c’è un battito rallentato. Dà supporto al cuore perché ogni tanto rallenta. Il defibrillatore è sostanzialmente un pacemaker che ha anche funzioni di defibrillare, cioè di dare uno choc elettrico nel momento in cui dovesse emergere un’aritmia potenziale grave per la vita stessa del paziente. Abortisce un evento drammatico.
Quali sono le nuove tecniche operatorie?
«Ci sono i pacemaker senza fili. Un pacemaker convenzionale viene messo sotto la clavicola, c’è un generatore a cui è collegato un filo che va al cuore per stimolarlo – spiega Tondo. – Oggi siamo in grado, e il nostro centro è quello di training nazionale, di installare un pacemaker attraverso le vene, quindi senza alcuna ferita esterna e viene inserito all’interno del muscolo cardiaco. È lungo 2,7 cm e rimane ancorato al muscolo. Questo diminuisce le possibilità di infezione. Nel giro di qualche anno avremo anche dei defibrillatori miniaturizzati. I pacemaker vanno sostituiti. A seconda di quanto interviene il pacemaker può durare 7/8 anni. Quelli senza fili possono arrivare fino a 18 anni di durata.