Nuove terapie contro Alzheimer. Un gene protegge da Alzheimer, impedendo alla malattia di svilupparsi nel cervello. La notizia arriva da uno studio della Columbia University, che spiega come il rischio possa scendere fino al 70 per cento. Si possono leggere i risultati sulla rivista scientifica Acta Neuropathologica.
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Nuove terapie contro Alzheimer: il ruolo della fibronectina
I ricercatori hanno analizzato i dati di più di 11.000 persone, scoprendo un gene che produce fibronectina, capace di fungere da vera e propria barriera contro lo sviluppo della malattia. In particolare si trova nella barriera emato-encefalica, una membrana che circonda i vasi sanguigni del cervello. In pratica aumentano le capacità di ripulire il cervello dalle tossine, che sono fattori di rischio per la patologia neurodegenerativa.
Il gruppo di ricerca spera di riuscire a sviluppare nuovi tipi di terapie capaci di imitare l’effetto protettivo del gene per prevenire o trattare la malattia. La fibronectina è presente nella barriera emato-encefalica in quantità molto limitate. Nelle persone con Alzheimer la si trova in grandi quantità.
Funziona nel modello animale. Ora si attendono sperimentazioni sull’uomo
I ricercatori hanno poi analizzato la situazione anche nei pesci zebra e nei topi. Il team di lavoro ha scoperto che
riducendo la fibronectina negli animali, diminuiva l’amiloide, che è uno dei fattori che aumentano il rischio della patologia.
Lo studio è stato definito interessante dalla comunità scientifica perché si concentra sui fattori di protezione per le malattie neurodegenerative. Sappiamo che Alzheimer è una somma di processi degenerativi che cominciano anche diversi anni prima dell’esordio dei sintomi. Studi sulle diagnosi precoci si stanno concentrando su alcuni marcatori che possano rivelare l’inizio della patologia con largo anticipo, in modo da poter intervenire.
Nuove terapie contro Alzheimer: un farmaco contro Hiv sembra efficace
C’è poi un farmaco che viene usato su chi abbia l’infezione da Hiv. Durante la sperimentazione i ricercatori si sono accorti che chi assumeva questo medicinale che blocca l’attività di un enzima “della trascrittasi inversa”, c’era una minore possibilità di sviluppare Alzheimer. Questo enzima permette l’insediarsi del virus dell’Aidsnel corpo.
In questo caso i ricercatori hanno analizzato i dati di circa 80mila sieropositivi dai 60 anni in su. La metà di loro aveva assunto per almeno tre anni questo farmaco.
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