Sta suscitando molto clamore il caso del 19enne cinese, descritto nello studio pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease dall’equipe del neurologo Jia Jianping, colpito da Alzheimer precoce. Il ragazzo ha iniziato a manifestare i primi sintomi quando aveva solo 17 anni: evidenti deficit della memoria a breve termine, problemi di studio e concentrazione, difficoltà nella lettura, reazioni rallentate. «Se venisse confermato da ulteriori analisi questo sarebbe il più giovane malato al mondo», commenta Paolo Maria Rossini, Responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele di Roma. «In realtà i casi di demenza di Alzheimer a esordio giovanile non sono una rarità e una novità, ma 19 anni costituisce realmente un record».
La malattia di Alzheimer è la forma più nota di demenza ed è la più frequente nella popolazione anziana (sopra i 65 anni): in Italia ne soffrono 600.000 persone, per circa due terzi donne. Si parla di Alzheimer precoce, invece, quando i sintomi iniziano prima dei 60-65 anni. Le forme a insorgenza precoce, quindi, sono la minoranza e rappresentano il 10-12% dei casi.
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Quali sono le cause dell’Alzheimer precoce?
Le forme genetiche a insorgenza precoce sono causate dalla presenza, appunto, di mutazioni genetiche. Quelle non genetiche, cosiddette sporadiche, possono essere «innescate» da eventi «collaterali», ad esempio importanti traumi cranici. Il ragazzo rientra in questa seconda casistica in quanto non presenta le mutazioni genetiche finora identificate legate alla demenza. «Inaspettatamente, gli esami di genetica medica non hanno mostrato la presenza di mutazioni dei geni che più di frequente sono coinvolti nelle forme giovanili di Alzheimer», precisa lo specialista.
Quali sono i sintomi?
Questa forma di Alzheimer a insorgenza precoce si manifesta con le difficoltà di memoria per eventi recenti, i difetti di attenzione/concentrazione, le difficoltà di apprendimento di nuove informazioni. Questi sintomi, a differenza di quelli generati da altre cause (come, ad esempio, la sindrome ansioso-depressiva o lo stress psicofisico), cominciano in modo subdolo ed evolvono lentamente nell’arco di mesi, associandosi prima o poi ad altri disturbi cognitivi, tipo il disorientamento spaziale e/o temporale, le difficoltà di linguaggio, di calcolo, di giudizio. L’insorgenza graduale delle difficoltà cognitive e l’andamento lentamente ma inesorabilmente peggiorativo nel tempo sono elementi caratteristici.
Come si diagnostica l’Alzheimer precoce?
«Il giovane paziente è stato sottoposto a una batteria di test neuropsicologici che ha mostrato un evidente deficit della memoria. Poi a una risonanza magnetica volumetrica, che ha rivelato una perdita di volume degli ippocampi (le centraline di alcuni tipi di memoria), poi ad una PET-FDG, che ha mostrato un ipometabolismo nei lobi temporali dei due emisferi cerebrali, cioè una marcata riduzione di consumo energetico in centri del cervello molto importanti per i processi di memorizzazione e apprendimento», prosegue il neurologo. «Anche la puntura lombare con l’esame del liquido cerebrospinale ha mostrato un’alterata concentrazione di sostanze che nell’Alzheimer portano alla formazione delle placche di beta-amiloide fuori delle cellule nervose e dei grovigli neurofibrillari all’interno delle medesime».
Quali sono le terapie disponibili?
I farmaci a oggi disponibili sono gli inibitori dell’acetilcolinesterasi e la memantina. Non sono in grado di bloccare la malattia, ma in alcuni casi possono dare beneficio, anche se la loro azione è di solito transitoria ed esauribile. Sono in corso numerosi trials farmacologici finalizzati a bloccare la progressione della malattia. La sperimentazione più avanzata e promettente sta testando la validità di un anticorpo monoclonale (Aducanumab) diretto contro la proteina beta-amiloide, che insieme alla proteina tau svolge un ruolo causale fondamentale nella genesi della malattia, anche nelle forme precoci.
Qual è la qualità della vita?
L’Alzheimer incide negativamente sulla durata e sulla qualità della vita. I deficit cognitivi progrediscono inesorabilmente limitando l’autonomia del paziente, con conseguente dipendenza crescente dai propri familiari. Non esistono farmaci in grado di prevenire la malattia, ma un training costante del cervello (hobby, lettura, scrittura, attività sociali), un’alimentazione corretta (basata principalmente sulla dieta mediterranea) e un costante e moderato esercizio fisico, secondo alcuni studi sarebbero utili per ritardare l’insorgenza della malattia e rallentarne la progressione.
«L’Alzheimer, come molte altre patologie neurodegenerative, lavora nel buio anche per decenni e si palesa solo dopo che tutta la riserva neurale e cognitiva rappresentata da neuroni-circuiti nervosi-sinapsi presenti dalla nascita, ma silenti sul piano funzionale, è stata consumata. Come se una squadra avesse tanti giocatori in panchina pronti a sostituire quelli che si fanno male. Come detto questa patologia lavora nel buio anche per 25 anni, e per questo motivo tendiamo a pensare che colpisca solo gli anziani, ma non è assolutamente così. C’è da capire perché, in questo giovane in particolare e in tutte le forme giovanili in generale, la riserva neuronale/cognitiva sia stata così esigua da permettere l’esordio dei sintomi in età molto più precoce», conclude Rossini.