La malattia si presenta quasi sempre allo stesso modo. Il soggetto non ricorda avvenimenti capitati pochi giorni prima, ripete più volte cose che ha appena detto, magari dimentica spesso le chiavi di casa. Sono i primi sintomi di una delle malattie più subdole e inesorabili del cervello: l’Alzheimer, la forma di demenza più diffusa.
Sono le donne ad essere più colpite, e non si sa perché: forse, e semplicemente, perché vivono più a lungo degli uomini. E l’Alzheimer è sicuramente legato all’età.
A 65 anni la possibilità di ammalarsi è del 2%, poi raddoppia ogni cinque anni, fino a raggiungere, a 90 anni, il 64%. Vengono colpiti sei novantenni su dieci.
Che cosa succede nel cervello
Per capire cosa è esattamente l’Alzheimer immaginiamo il cervello come una grande casa tutta illuminata, in cui a un certo punto qualcuno, senza una ragione, comincia a spegnere una lampadina alla volta finché non si fa buio completo. Questo oscuramento inizia in un posto preciso del cervello, alla giunzione fra una parte della corteccia cerebrale, detta entorinale, e l’ippocampo, così chiamato perché assomiglia vagamente a un cavalluccio marino.
Nella corteccia entorinale convergono e vengono elaborate le informazioni rilevanti che arrivano dai sensi. Immagini, suoni e altre sensazioni giungono in questa zona come persone provenienti da varie parti del mondo atterrano in un aeroporto. Da qui, le informazioni vengono incanalate su un fascio di fibre (il fascio perforante), che va alla testa dell’ippocampo: il flusso può essere paragonato al pullman che dall’aeroporto arriva in città.
L’ippocampo dà origine a un circuito, simile a un circuito elettrico, in cui viaggiano le informazioni giunte dal mondo esterno, le quali sono selezionate, consolidate e archiviate nei sistemi di memoria, da dove potranno essere ripescate quando ne abbiamo bisogno.
Un degrado mentale sempre più evidente
Le prime lesioni della malattia di Alzheimer avvengono proprio nell’aeroporto (corteccia entorinale) e nella città (ippocampo). Il pullman resta fermo. Di viaggiatori non ne arrivano più e il paziente, dunque, non è in grado di mettere le nuove informazioni in memoria. Ecco perché all’inizio c’è un deficit di apprendimento, mentre la capacità di rievocare il materiale antico, da tempo presente negli archivi della memoria, non è intaccata. Ma poi le lesioni si diffondono ad altre zone cerebrali e il degrado mentale diventa più evidente.
Sono danneggiate soprattutto le parti posteriori del cervello, quelle associative, dove, raggruppando le varie caratteristiche percettive e verbali degli oggetti, si formano i concetti. In un terzo momento viene invasa anche la parte anteriore del cervello, quella che serve per prendere le decisioni, per scegliere programmi di azione adeguati alle circostanze. Alla fine c’è la perdita totale degli schemi d’azione più routinari, come fare un piatto di spaghetti o lavarsi. E questo porta a una progressiva perdita di autonomia.
Mistero sull’opera di sabotaggio di alcune proteine
La malattia fu descritta all’inizio del ‘900 dallo psichiatra Alois Alzheimer, ma solo negli ultimi dieci anni si sono compresi i meccanismi fisiopatologici che ne sono alla base. Si è indagato sulla componente genetica, ma è presente soltanto nel 5% dei casi. Sembra anche che un fattore di rischio consista nell’avere subito traumi cranici. Ma per il 95% dei malati non abbiamo nessuna spiegazione del perché alcune proteine che presiedono al funzionamento delle cellule nervose decidano di sabotare la loro stessa casa. «Conosciamo però i due meccanismi fondamentali alla base della malattia», dice Pier Guido Gainotti, docente di neurologia all’Università Cattolica di Roma. «Nel primo, una proteina, la beta amiloide, si deposita negli spazi intercellulari dando origine alle placche senili e danneggiando i neuroni. Il secondo si deve alla proteina Tau, sorta di colla che tiene insieme i tubuli di collegamento tra i neuroni. Questa proteina, se si lega con una quantità eccessiva di fosforo, perde la capacità adesiva e i tubuli si disgregano». La luce si spegne.
Paola Cortese – OK La salute prima di tutto
Ultimo aggiornamento: 4 marzo 2011