John Bramblitt è un giovane texano che ha perso la vista a causa dell’epilessia. Oggi, a 35 anni, è il pittore non vedente più famoso al mondo. Come riesce a distinguere i colori? Merito della sinestesia: lui sente i colori come fossero suoni. Ecco il suo racconto straordinario.
«La mente umana è davvero un mondo a sé, un archivio di dati dotato di notevole plasticità, è l’unico organo capace di rimaneggiare continuamente le funzioni dei propri circuiti anche se danneggiati», mi spiegarono i medici, dopo la prima visita specialistica durante la quale mi avevano diagnosticato un livello avanzato di cecità e una perdita graduale dell’udito. La causa del deficit doveva essere stata la grave forma di epilessia che mi portavo dietro fin dall’infanzia. «Il tuo sistema nervoso si riadatterà alla nuova situazione e sarà capace di modificare in modo efficace la struttura danneggiata», continuavano gli specialisti. Ma tornato a casa ero arrabbiato, non sapevo con chi prendermela. Ero cieco e lo sarei stato per sempre.
Non volevo perdere la possibilità di coltivare la mia più grande passione, la pittura, ma tutto in quel momento mi sembrava impossibile e sapevo di non esserne più all’altezza in quelle condizioni. Poi ricordai mia madre che era solita dipingere quadri per rilassarsi. Per tanto tempo, non ricordo quanto, ho trascorso le giornate seduto di fronte alla tela grezza, toccandola con la punta delle dita come a studiarne ogni minimo dettaglio. Non volevo sentirmi etichettato o isolato, ma soprattutto non potevo far vincere la cecità.
Un giorno mi feci coraggio e presi in mano il pennello, intingendolo di colore, invisibile ai miei occhi, ma non alla mia mente. Avevo trascorso tanti mesi ad analizzare lo spazio a disposizione e mi venne quasi naturale far scorrere la punta sulla tela, come se fosse stato il prolungamento della mano, immaginando il disegno che avrei voluto creare. Il primo passo verso la scoperta di questo nuovo mondo interiore è stata la ricerca di materiali che sostituissero virtualmente le pupille.
[nggallery id=2]Oggi dipingo su tele di canapa grezza dalla texture ruvida, che mi consentono di quantificare le distanze sul dipinto. Le linee che traccio devono essere molto spesse e sporgenti in modo da delimitare gli spazi nei quali stenderò il colore. Utilizzo anche una vernice più densa, che lascia un’impronta palpabile sulla tela. Il quadro assume così l’aspetto di una scultura, che riesco a sentire al tatto.Accarezzo il foglio con le dita, tastando con attenzione ogni ruga della carta e i segni marcati dei confini circoscritti con cura; questi sentieri di linee tangibili mi guidano verso la realizzazione dell’opera. Applico successivamente uno strato spesso di tinta bianca, così che il disegno resti impresso in rilievo e poi intingo ancora il pennello nei colori riempiendo accuratamente gli spazi tra le righe. A ogni passo, i polpastrelli si sporcano di vernice, ma è proprio la tintura pastosa ad essere il mio occhio artificiale e mi permette di sapere esattamente dove e cosa c’è sul dipinto. Infine, preferisco i colori ad olio, così posso distinguere le varie tonalità direttamente con le mani.
In pratica è come se comunicassi con la schiera di colori posizionati sulla tavolozza, memorizzando la consistenza delle tinte e distinguendo manualmente persino le singole sfumature. Qualche istante per far asciugare il foglio e a lavoro finito controllo pazientemente ogni angolo, ammirando il risultato senza occhi, ma soltanto attraverso il solo contatto fisico con il quadro. I miei soggetti non sono tanto distanti da me o dai miei ricordi. Raffiguro episodi e esperienze vissute, luoghi d’infanzia, volti di persone e animali conosciuti, tutte immagini tratte dall’idea memorizzata nella mente.
È il cervello a farmi da guida, non so come, ma lo fa, automaticamente. La differenza sta nello sviluppo d’altre abilità utili a captare le immagini, così mi hanno spiegato. Per me ogni colore ha una trama diversa, il nero è liscio e fluido, mentre il bianco è denso e corposo al tatto. Il fatto che la vista sia collegata a tutti gli altri sensi ci porta a dire che alcuni colori, possono avere un aspetto ruvido, mentre altri sembrano lisci o vellutati e altri ancora liquidi o compatti.
Ai colori inoltre appartengono delle qualità musicali e durante il percorso di crescita e autoterapia, ho imparato anche a sentire la voce d’ogni colore, creando le varie sfumature, riconoscendo al tatto le singole differenze cromatiche e fissandole in testa, proprio come se si trattasse di un brano musicale. Ho anche studiato tanto questo argomento. So che ci sono state in passato molte persone non vedenti che sono arrivate a una rappresentazione del colore attraverso l’ascolto di note musicali. I suoni bassi e profondi sono abbinati a colori cupi come il nero o il marrone, le note stridule e acute sono associate al giallo o a certi verdi. Anche i miei colori variano per ogni nota suonata. Un vecchio blues lento, avrà colori diversi, rispetto alle note suonate in un rock n ‘roll. I medici dicono che la mia esperienza di vita è una sinestesia.
Possiedo cioè una capacità cerebrale straordinaria, la sinestesia, che mi permette di percepire uno stimolo attraverso un senso diverso da quello che in genere è prestabilito naturalmente. C’è chi avverte un profumo soltanto con la mente o chi è in grado d’associare un suono ad un colore. Questo stile, a cui tutti hanno dato il mio nome, mi ha reso famoso e i miei quadri hanno fatto il giro del mondo. Ma la cosa che mi rende più felice è poter insegnare questa tecnica ai bambini non vedenti, lasciando in loro una forte speranza di successo. Ho appreso che il cervello è un organo geneticamente attivo in queste percezioni e una condizione di disabilità visiva può amplificare il funzionamento, proprio come è successo a me».
John Bramblitt
(testimonianza raccolta per OK Salute e benessere da Stefania Di Pietro)
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