Con il termine workaholic, che letteralmente significa lavoro-dipendente, s’intende chi vive gli impegni professionali come la priorità assoluta, facendo passare in secondo piano le relazioni interpersonali e la salute. In parole scientifiche si parla di sindrome della dipendenza dal lavoro. Lo stress da lavoro è una condizione che l’Organizzazione mondiale della sanità ha inserito nell’undicesima International Classification of Diseases come un fenomeno esclusivamente professionale che influenza la salute. Non una vera malattia, insomma, ma una sindrome che può incidere pesantemente sul benessere del dipendente.
Il primo a parlarne è stato lo psicologo statunitense Wayne Oates esattamente quarant’anni fa. Bisognerà aspettare il 1974 per arrivare all’espressione burn-out syndrome, o sindrome da burn out, coniata dallo psicologo statunitense Herbert Freudenberger. Con questa espressione si indicava originariamente una particolare reazione allo stress da parte degli operatori sanitari (medici e infermieri), per, poi, estendersi alle altre categorie delle professioni d’aiuto a elevata implicazione relazionale, come insegnanti, forze dell’ordine, assistenti sociali, vigili del fuoco, avvocati e venditori. Negli ultimi anni, tuttavia, l’accezione del burn-out si è ampliata fino a comprendere qualsiasi mestiere in cui lo stress non più gestito determini una sorta di logorio del lavoratore.
In questo articolo
Workaholic: quali sono le cause?
Sempre più persone soffrono della sindrome da super lavoro. Le cause sono diverse. Innanzitutto la precarietà del lavoro, con la conseguenze paura di perdere il proprio posto. Poi c’è l’innovazione tecnologica, che ha ridotto il confine tra vita privata e quella lavorativa. In questo periodo di pandemia sono aumentate le ore di lavoro, con conseguenze importanti sulla nostra salute.
I fattori di rischio
Come tutti i disagi psicologici, il burn-out è determinato da una concomitanza di cause. In poche parole, lo stress da lavoro è soggettivo. Tra i fattori che possono creare stress ci sono:
- un carico talmente elevato di lavoro che non permette di portare a termine tutti i compiti assegnati;
- un’attività lavorativa monotona con scarsi stimoli e gratificazioni;
- l’ambiguità del proprio ruolo, in cui non sono chiare le mansioni che si devono svolgere;
- la mancanza di equità anche retributiva in relazione all’impegno richiesto;
- orari lavorativi che rendono difficile coniugare la vita privata con la lavorativa;
- la discordanza di valori tra la persona e i valori aziendali;
- le conflittualità interne con colleghi e capi.
Spesso la persona non si accorge di questi effetti negativi, ma si sente euforica e gratificata dalla propria dedizione al dovere.
Workaholic: quali sono i sintomi della dipendenza da lavoro?
Il principale sintomo dello stress da lavoro è l’insonnia, seguita da non aver più voglia di andare a lavorare.
Le altre manifestazioni sono:
- stanchezza non motivata,
- difficoltà a concentrarsi,
- manifestazioni di rabbia infantile,
- scortesia con gli utenti,
- comportamenti controproducenti con i colleghi, a partire da critiche e offese fino al non presentarsi al cambio turno o nascondere la posta.
Le 4 fasi della sindrome da burn out
Gli psicologi Jerry Edelwich e Archie Brodsky hanno individuato quattro fasi attraverso le quali si sviluppa il burn-out:
L’idealismo
Il lavoratore è entusiasta e s’impegna al massimo. Spesso per utopistiche aspettative di essere ricompensato da gratificazioni personali.
La stagnazione
Viene a mancare l’entusiasmo nello svolgere i propri compiti in quanto si comprende che il lavoro non
soddisfa aspettative e bisogni.
La frustrazione
Sentendosi inutile, il lavoratore si chiede se valga la pena svolgere il proprio compito sotto stress cronico e senza il riconoscimento altrui.
L’apatia
È il burn out vero e proprio, in cui perde qualsiasi motivazione professionale e prova disgusto per quasi tutti gli aspetti che caratterizzano la sua occupazione.
Quali conseguenze hanno i workaholic sulla loro vita?
Relazioni sentimentali
Spesso le persone super impegnate, molto energiche, che hanno sempre la giornata piena e sembrano non stancarsi mai, non riescono a vivere relazioni equilibrate. Faticano a trovare un compagno o una compagna che stia al passo con i ritmi frenetici di un’esistenza sempre di corsa. I partner si sentono inferiori, non adeguati, messi in disparte. E la storia finisce (o non decolla proprio). Ancora peggio se la workaholic è donna. L’universo maschile non è pronto ad accogliere quelle «troppo perfette»: belle, brave, capaci. Lui preferisce tirarsi indietro. Lei, pur di non cambiare se stessa, sceglie di stare da sola.
La rete di aiuti
Il senso di onnipotenza può portare a offuscare la propria visione di sé. Della serie: «Sono talmente in gamba a fare tutto da non aver bisogno di nessuno». Sbagliato: si può essere persone realizzate sul lavoro, ma bisogna imparare a farsi aiutare e a delegare. Chiedere aiuto non è un segno di debolezza. Fate pace con i vostri limiti. Non è un messaggio scoraggiante. Anzi. Nessuno dovrebbe rinunciare ai propri sogni, ma cercare di perseguirli con buon senso e consapevolezza di sé e delle proprie possibilità.