Ormai è un automatismo: davanti a un paesaggio mozzafiato o a un monumento storico, la mano va al telefono e si scatta una foto. Per postare, condividere, fare “stories”. Ma vi è mai capitato di riguardare gli scatti di una vacanza o di un museo e rendervi conto che molti dei dettagli immortalati dalle foto non ve li ricordavate? Non temete, è normale. O, perlomeno, è normale nell’era tecnologica che stiamo vivendo. Colpa, come sempre, dei nostri smartphone (scopri qui tutti gli effetti che telefoni e social network hanno su di noi).
Lo studio scientifico
La scoperta può apparire paradossale – da sempre le foto ci aiutano a ricordare con maggiore chiarezza ciò che abbiamo visto una volta sola – ma a farla è stato uno studio scientifico pubblicato sul Journal of Applied Research su Memory and Cognition. Stando alle conclusioni della ricerca, chi fotografa ciò che vede tende a ricordare meno dell’esperienza vissuta rispetto a chi non lo fa. Le possibili spiegazioni sono due.
Scarico cognitivo
La prima è l’effetto di “cognitive offloading” (scarico cognitivo), con cui il nostro cervello si affida a uno strumento esterno, come un blocco note, un computer o una fotocamera per memorizzare delle informazioni. Sapendo che il telefono ricorderà in modo sicuro le informazioni al posto nostro, non presteremo molta attenzione a ciò che stiamo guardando o vivendo. Lo stesso meccanismo si innesca quando non ricordiamo le cose perché sappiamo di poterle chiedere ai motori di ricerca: così aumenta il nostro rischio di demenza.
Disimpegno attenzionale
La seconda spiegazione, invece, è il “disimpegno attenzionale”: l’uso di una fotocamera ci distacca dal momento che stiamo vivendo e il nostro cervello decodifica l’esperienza con meno dettagli e profondtità di quanto vorremmo.
Il primo esperimento
Gli autori dello studio, gli psicologi Benjamin Storm e Julia Soares dell’Università della California, Santa Cruz, hanno svolto un doppio esperimento. Nel primo hanno chiesto a 42 studenti universitari di guardare le diapositive di 15 quadri, divisi in tre gruppi. Del primo gruppo gli studenti dovevano scattare una foto, del secondo doveva scattare una foto e poi condividerla su Snapchat (un’app di messaggistica che visualizza le foto solo per un breve periodo prima che scompaiano), del terzo gruppo dovevano osservare per circa 15 secondi senza fare altro. Dopo un intervallo di 10 minuti (durante il quale i telefoni sono stati portati via), agli studenti è stato sottoposto un test con 30 domande sui dettagli dei dipinti. Quando i ricercatori hanno analizzato le risposte, hanno rilevato che gli studenti che rispondevano correttamente a un numero inferiore di domande sui dipinti erano quelli che scattavano fotografie, sia da condividere o meno.
Il secondo esperimento
L’esperimento è stato poi ripetuto con un gruppo diverso di 51 studenti. Questa volta gli studenti sono stati istruiti a cancellare le foto dei dipinti del secondo gruppo invece di postarle temporaneamente su Snapchat. I risultati sono stati simili a quelli del primo esperimento: gli studenti che ricordavano meno dettagli dei dipinti erano quelli che avevo scattato delle foto, anche se sapevano che non si sarebbero salvate.
Il telefono ci distrae
I risultati degli studi sono più coerenti con l’ipotesi del “disimpegno attenzionale” che con quella dello “scarico cognitivo”. Anche nel caso in cui gli studenti cancellavano la foto scattata, infatti, la percezione dei dettagli dei quadri rimaneva bassa. Ciò significa che non è la consapevolezza di appaltare le informazioni a un dispositivo che fa dimenticare le informazioni, ma è la distrazione che l’utilizzo di questi strumenti innesca a rendere meno attenti. Indipendentemente dal fatto che queste foto saranno poi salvate o meno.
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