Nell’estate del 2017 il motore di ricercare Google aveva avviato un’iniziativa in grado di riconoscere la depressione nei suoi utenti. Bastava digitare come chiave di ricerca un termine relativo alla depressione, che in cima ai risultati compariva una casella che chiedeva “Sei depresso?”. Se l’utente cliccava “Sì”, si apriva un questionario validato dai medici che poteva essere utilizzato per la diagnosi della depressione.
Sarebbe capace di individuare un utente depresso anche un software messo a punto qualche anno fa dall’Università del Vermont. Come? “Studiando” le foto postate dagli utenti su Facebook e Instagram e scovando anche quelle fasulle, ovvero scatti felici che nascondono uno status di sofferenza.
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Depressione e device elettronici:
utilità nella diagnosi
Ma una app, un sito internet, un test possono davvero diagnosticare la depressione? Come spiega nella videointervista Cristina Colombo, primario del Centro Disturbi dell’Umore dell’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro, non è così semplice, perché «la diagnosi deve essere clinica. Si possono anche leggere i sintomi su Google, ma poi un medico deve mettere insieme le informazioni. La depressione non è valutabile con un fai-da-te».
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Depressione e device elettronici:
utilità nel trattamento
Anche sul fronte trattamento, si è parlato spesso di sistemi o app che possono essere utili al paziente con disturbi mentali. «Avere un device che permette di rilevare informazioni quali il sonno, i movimenti e l’esposizione alla luce del paziente in cura è utile per noi psichiatri perché sono informazioni importanti per capire i suoi comportamenti e le sue reazioni – conclude Colombo – Molto più complicato, invece, sarebbe avere una relazione con il paziente tramite una app. Avrebbe implicazioni difficili da gestire».
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