L’Europa di nuovo attaccata nel suo cuore. Dopo gli eventi di Parigi, quelli di Bruxelles stanno creando un clima di ansia, paura e preoccupazione. Come gestire questa nuova realtà con cui dobbiamo convivere? Ne abbiamo parlato con Davide Scotti, psicologo e psicoterapeuta, che esercita la professione clinica alla quale affianca una costante attività di ricerca e formazione sui temi della relazione d’aiuto, il benessere, la resilienza e i processi psicosociali individuali e collettivi. Collabora con Itstime (The Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies) il team di lavoro e di studio dell’Università Cattolica che si occupa di sicurezza, terrorismo e situazioni di emergenza.
Quali ansie e preoccupazioni possono insorgere in seguito a un atto terroristico che coinvolge da vicino?
I recenti fatti stanno dimostrando che non esiste un Paese a rischio zero per quanto riguarda la minaccia terroristica e che ogni luogo di ogni città può diventare il bersaglio. Tutti gli elementi della quotidianità diventano potenzialmente pericolosi, il bar sotto casa dove abitualmente faccio colazione, il locale alla moda dove prendo l’aperitivo con gli amici.
Se prima il rischio era legato a determinati luoghi, come ad esempio un aeroporto o l’ambasciata, oggi non ci sono più target privilegiati. Il livello di ansia è così alto che qualsiasi piccolo evento, come ad esempio un sacco della spazzatura abbandonato, può generare allarme e comportamenti di fuga. Questo stato d’animo di tensione cronica e di allerta impegna molte delle nostre risorse personali ed è per questo che siamo vulnerabili al più piccolo imprevisto vissuto poi come un’emergenza.
In questa situazione viaggi, partecipazioni a eventi ma anche la quotidianità possono diventare causa di stress: come fronteggiarlo?
Quando l’ansia diventa preponderante occorre concentrarsi su se stessi, prendersi cura di sé. Se devo affrontare un viaggio in aereo o in treno, meglio recarsi in stazione o in aeroporto con un po’ di anticipo, prendersi del tempo per rilassarsi, portare con sé un libro e la propria musica preferita aiuta a distogliere la mente da pensieri negativi.
Se ciò che ci rassicura sono le forze dell’ordine, cerchiamone la presenza nei luoghi, se invece ci allarmano allora sistemiamoci più distanti. Non dobbiamo avere paura di avere paura, ma cercare di abbassare il livello di tensione. Per ridurre la quantità di stress bisogna organizzare la routine, anche di un viaggio o di uno spostamento, in modo da ridurre al minimo gli imprevisti che possono dipendere da noi. Per non dimenticare delle cose posso preparare con calma una check-list da spuntare.
Non vergogniamoci, infine, di chiedere aiuto agli altri, condividendo la tensione con un vicino sul treno o in aereo: parlare, comunicare con il prossimo serve a far diminuire lo stress.
Giusta cautela e allarmismo, un equilibrio difficile da trovare.
Purtroppo non sappiamo quando tutto questo passerà. L’allarmismo è una fase naturale dopo un evento traumatico. Il nostro cervello è “facilitato” nel ricordare gli avvenimenti più recenti e in questi giorni è difficile sentire un petardo che scoppia e non pensare a un colpo di fucile. Dopo gli attentati di Madrid a Milano ci fu un imprevisto come il rovesciamento di una bottiglia di candeggina su un mezzo pubblico e i passeggeri pensarono subito a un attentato. Lo stesso sta capitando oggi con molte segnalazioni infondate dove, a differenza di qualche giorno fa, i più preoccupati sono le stesse forze dell’ordine. Certamente, vedere l’agitazione degli uomini in divisa accresce la paura che l’allarme sia vero. Forse una progressione dell’intervento di sicurezza al target da verificare potrebbe aiutare a rasserenare i cittadini.
Per la tendenza del cervello a ricordare i fatti più recenti e raccontati con maggiore frequenza, ciascuno di noi potrebbe sforzarsi di ricordare i gesti utili alla comunità, altruisti e di solidarietà che sono stati compiuti a fronte di un atto terroristico. Questa tensione piano piano scemerà e magari sarà sostituita da una sensazione di maggiore vicinanza.
Social network, media e passaparola alimentano la paura o possono anche aiutare a superarla? In quale modo?
Oggi siamo tutti “collegati”, questo è il mondo nel quale viviamo e non si torna indietro. La tecnologia mi fa vivere un evento critico dall’altra parte del mondo come se fossi lì presente. Nel bene e nel male. I social network non sono da demonizzare e come ogni cosa ha alcuni lati negativi ma possono aiutare a sentire le persone vicine in momenti critici, a sentirci meno soli. E la solitudine è uno degli stati d’animo che riduce la sensazione di controllo sulla realtà e quindi aumenta il livello di ansia.
I media potrebbero aiutare a ridurre la tensione valorizzando i gesti di aiuto tra i superstiti, l’uomo che aiuta la donna incinta al Bataclan, oppure la vicinanza della gente come alla veglia spontanea a Venezia per la nostra Valeria. Ricercare aspetti meno negativi in eventi molto traumatici è molto faticoso, ma aiuta, un ricordo è quindi un’esperienza più gestibile e quindi meno ansiogena.
Che cosa si può fare per non far vincere l’islamofobia e la paura del terrorismo?
L’islamofobia è un indicatore dell’alto livello di ansia che sta vivendo chi prova questa tensione: tante meno risorse abbiamo per comprendere la complessità della realtà e tanto più la si semplifica. La comunità musulmana deve cercare di farsi conoscere e di favorire il dialogo, per contribuire a ridurre lo stereotipo del musulmano=terrorista. Penso all’uso dell’italiano nei momenti di preghiera o l’accesso rispettoso ma libero nei luoghi di culto.
Ma molto andrebbe fatto sulle nuove generazioni, che non riescono a sentirsi parte di un qualcosa di più grande, qualcosa che va al di là della ristretta cerchia di amici e partenti. Non esiste più un senso della comunità, si sono persi i riti di passaggio e di iniziazione che certificavano la propria appartenenza a quel gruppo sociale. Al contrario, una organizzazione come l’Isis sembra farti sentire parte di una famiglia, riconosce il sacrificio degli altri per il singolo e viceversa, il senso di fratellanza è molto forte.
Il contrasto all’ISIS può essere fatto da ciascuno quando facilita in noi e negli altri un senso di patria, italiana o europea, cioè un’esperienza quotidiana di vicinanza. Al contrario delle strategie di sicurezza, che rischiano di ridurre il campo personale per aumentare il controllo, ci si dovrebbe concentrare sulle strategie a medio termine: lavorare sul senso di appartenenza, sia a livello individuale sia a livello collettivo.
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