Aumenta il numero dei procrastinatori, uomini e donne che rimandano tutto fino all’ultimo secondo disponibile. Una montagna di lavoro da svolgere, una scadenza incombente, eppure ti ritrovi imbambolato sul divano a guardare la tua serie preferita. Oppure ti capita di rimandare all’infinito quella visita dal dentista che sai di dover fare. Rinviare o soprassedere è umano, procrastinare è diabolico.
Perché se a tutti capita ogni tanto di posticipare compiti e commissioni, alcune persone trasformano il rimandare tutto all’ultimo in uno stile di vita con conseguenze negative sul lavoro, sulla vita familiare e perfino sulla propria salute.
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L’identikit dei procrastinatori
Rimandare è un comportamento irrazionale, perché si è ben consapevoli dell’impatto del ritardo, del fare tutto all’ultimo o, addirittura, del non fare per niente ciò che si era programmato. In un articolo pubblicato dalla rivista scientifica Frontiers in Psychology nel 2018, un gruppo di ricercatori ha definito la procrastinazione come l’incapacità di gestire le proprie emozioni e il proprio comportamento per raggiungere obiettivi a lungo termine.
Secondo gli autori, la mancanza di perseveranza e la tendenza a dare più valore a gratificazioni immediate rispetto a quelle future sono le caratteristiche dei procrastinatori cronici.
Un altro studio, più recente, si interroga invece su cosa accada nel loro cervello. I risultati sostengono che il continuo temporeggiare sia l’effetto di una disfunzione psicologica che coinvolge tre componenti del cervello:
- quella deputata all’autocontrollo,
- l’area che regola la motivazione,
- quella che ci permette di immaginare noi stessi nel futuro.
«La procrastinazione è legata alla scarsa motivazione oppure alla difficoltà ad affrontare rischi e ostacoli», commenta e sottolinea Franco Fraccaroli, professore ordinario di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni all’Università di Trento. «In un certo senso, il procrastinatore cerca di preservare le proprie energie rinviando ogni sforzo al futuro».
Sintomo di disturbi psicologici
Più che una malattia psicologica, si tratta di un’attitudine. Allo stesso tempo, però, la procrastinazione può essere un sintomo, o la causa, di alcune patologie, come spiega in uno studio pubblicato da Cognitivismo clinico nel 2017 la psicologa Cristina Salvatori.
- È considerata un campanello di allarme della depressione, per esempio, perché i pazienti con scarsa autostima e poca energia spesso rinviano i propri impegni.
- Anche le persone con disturbo ossessivo compulsivo che temono sempre di compiere la scelta sbagliata, spesso, nel rimuginare sulle cose, le rimandano.
- È stato anche dimostrato che la procrastinazione, oltre a generare l’ansia che si avverte nel momento in cui si avvicina la scadenza, è anche un risultato dello stress. L’idea di alcuni psicologi è che, in contesti stressanti, le persone possano avere meno risorse mentali per affrontare le emozioni negative associate a compiti difficili. La procrastinazione risulta molto allettante in queste situazioni, e diventa una strategia per ottenere il sollievo, anche se immediato e temporaneo.
Ambienti che ostacolano o favoriscono la procrastinazione
La tendenza della singola persona a rimandare può essere ostacolata dal contesto in cui vive. «Il procrastinatore cronico può rimandare il pagamento di una multa o di una bolletta quanto vuole, ma a un certo punto la società eserciterà una pressione su di lui per spingerlo a pagare. Lo stesso vale per il lavoro: i colleghi risentono della procrastinazione di una persona in ambito lavorativo e questo ha un peso».
Procrastinazione incide sui controlli sanitari e sul curriculum scolastico
D’altra parte, ci sono ambiti in cui non c’è una spinta sociale così forte da indurre il procrastinatore ad agire. «Un esempio chiaro è la prevenzione sanitaria: il procrastinatore rinvia visite mediche, non si sottopone a esami di controllo, evita di recarsi da specialisti come il dentista», e ciò può comportare significativi danni per la salute.
«Nell’ambito dell’istruzione vediamo bene come i vincoli imposti dalla scuola dell’obbligo riducano la tendenza alla procrastinazione, mentre il contesto universitario lascia margini più ampi di libertà, in quanto impone meno vincoli e controllo sociale». Ciò può avere ripercussioni sulla performance accademica, come mostra uno studio di Fraccaroli e colleghi (pubblicato nel 2021 dal Giornale italiano di psicologia) in cui la procrastinazione è stata associata a un minor numero di crediti formativi acquisiti dagli studenti.
Le strategie anti-procrastinazione
Allora, qual è la soluzione? Come si fa a evitare un comportamento apparentemente innocuo ma che, se cronico e applicato a particolari contesti, come la salute o la formazione universitaria, può diventare problematico? Quasi sempre gli psicologi consigliano strategie da seguire per punti, che dovrebbero spingere il rimandatore seriale a cambiare comportamento:
- ci si concentra sulla pianificazione, sulla motivazione, sugli obiettivi da porsi e sulle tecniche di rilassamento per allontanare lo stress che, come abbiamo visto, può spingerci a posticipare.
- Alcuni suggeriscono di proiettarsi nel futuro, cosa che risulta difficile al procrastinatore, oppure di cominciare dalle cose difficili, per sentirsi più leggeri e avere la spinta a proseguire con il resto.
Tutte strategie che possono rivelarsi utili e preziose, ma che non prendono in considerazione il contesto in cui si vive.
Spinte gentili
In questo caso Fraccaroli propone soluzioni collettive, che coinvolgano non solo il procrastinatore, ma anche chi gli sta intorno. «Non si tratta di limitare la libertà individuale o di obbligare una persona ad agire, ma è possibile spingerlo gentilmente, stimolarlo all’azione».
Nel 2008 l’economista Richard Thaler e il giurista Cass Sunstein hanno pubblicato il libro Nudge – la spinta gentile, in cui propongono di migliorare il benessere delle persone e spingerle a fare scelte più sane e positive. Come? Modificando leggermente l’ambiente che le circonda. Il concetto si basa sull’idea di lasciare agli individui la libertà di scegliere, invogliandoli a protendere per l’opzione più razionale.
Cosa c’entra l’alimentazione?
Una delle prime applicazioni proposte nel libro riguarda l’alimentazione. Una dieta sana può essere favorita, non solo dalla consapevolezza e dalla volontà del singolo individuo, ma anche da una disposizione dei prodotti nei supermercati e da un’etichettatura degli alimenti che favoriscano la scelta dei cibi più sani.
Per fare altri esempi concreti, conclude Fraccaroli, «una persona che non vuole andare dal dentista oppure non vuole sottoporsi a visite di controllo, può essere convinto dalla famiglia, ma anche dall’informazione, che può derivare da diversi media (televisione, internet, giornali), dell’importanza della prevenzione ed essere messo al corrente delle conseguenze della mancata prevenzione. E ancora, uno studente che tende a rimandare lo studio, può essere incoraggiato dai compagni di corso, ma anche da docenti e tutor, che possono indurre i ragazzi a darsi delle tempistiche ben precise».
Testo di Camilla De Fazio