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La preadolescenza: di cosa si tratta?
La prima reazione è l’incredulità. Cosa sta succedendo? Dov’è il mio bambino amorevole e solare e chi è questo musone scontroso e irascibile? La seconda è la frustrazione. Tutto ciò che finora ha funzionato nel rapporto con lui o lei incontra un muro inaspettato di ostilità e rifiuto. Di colpo, i figli vanno a letto bambini e si svegliano persone diverse, irriconoscibili agli occhi smarriti e confusi dei genitori. È l’inizio della preadolescenza. Un limbo di tre-quattro anni (nell’età tra i 10 e i 14) nel quale ogni bambino sprofonda appena chiuso il ciclo della scuola elementare e spalancato il portone delle medie. Disarmati e nel panico, mamme e papà invocano il libretto delle istruzioni.
Il preadolescente è come un “mutante”
Arrivati a questa fase, i figli si spogliano dei loro abiti infantili, cambiano pelle come i serpenti. Lo spiega la psicoterapeuta Sofia Bignamini nel suo libro intitolato non a caso I mutanti. Come cambia un figlio preadolescente (Editore Solferino). Il problema è che non si sa cosa c’è sotto finché questa muta non si è completata. Bignamini identifica quattro tipologie di mutanti. L’evoluzione in una o nell’altra categoria non è però prevedibile, neppure da parte del più attento dei genitori. «Ciò che li caratterizza è il loro essere in trasformazione. I cambiamenti sono molteplici sul piano psicofisico, dei comportamenti e delle relazioni. Non a caso, i professionisti utilizzano espressioni che rimandano all’idea di confusione e cataclisma, dall’età incerta di Silvia Vegetti Finzi allo tsunami di Alberto Pellai».
La preadolescenza è una fase importante per la crescita
Pellai, medico, ricercatore all’Università degli Studi di Milano e psicoterapeuta dell’età evolutiva, nel suo libro intitolato appunto L’età dello tsunami (DeAgostini Editore) parla di corsa sulle montagne russe. Il genitore diventa un equilibrista che deve continuamente negoziare regole e permessi, dialogare senza risultare invadente, mantenere il controllo elargendo prove di fiducia. È l’improvviso venir meno delle certezze educative dell’infanzia a mettere in crisi gli adulti. Tra litigi urlati e porte sbattute, si attende la fine del tunnel come un miraggio.
Rivoluzione positiva
Gli esperti però assicurano che vale la pena di attraversare questa rivoluzione. Questo stadio della crescita porta molti aspetti positivi, che bisogna valorizzare. «La ricerca di novità, di relazioni intense, di esplorazione del mondo sta aiutando il preadolescente a staccarsi dalle sicurezze del nido familiare e spiccare il volo», spiega Pellai. «È un periodo nel quale emergono nuove abilità, nuove spinte evolutive. È il tempo della semina. Un atteggiamento educativo lassista, discontinuo o troppo permissivo li autorizzerebbe a seguire il piacere e le emozioni senza pensare alle conseguenze».
I genitori devono mantenere la calma durante la preadolescenza dei figli
Proprio perché in fase di profondo cambiamento, il mutante è ancora malleabile, risponde meglio ai «raddrizzamenti» e agli indirizzi genitoriali rispetto all’adolescente che verrà. Gli interventi educativi risultano più efficaci nel forgiare il carattere. L’appoggio della famiglia, della scuola e della comunità adulta è più indispensabile che mai. «Occorre vedere oltre le provocazioni», suggerisce Pellai, «coltivare il legame, mantenere alta l’asticella dell’affetto e della vicinanza. Un preadolescente ha bisogno di sentirsi amato anche quando fa di tutto per rendersi odioso. Il nostro ruolo è mantenere uno sguardo amorevole».
I genitori devono concedere libertà a piccole dosi
Lo confermano le neuroscienze. In questa fase il «cervello che pensa» (cognitivo) è molto più immaturo del «cervello che sente» (emotivo). Per questo le azioni sono orientate alla ricerca di emozioni. Anche David Elkind, grande studioso di questo stadio dello sviluppo, l’ha definita un’età connotata dalla «pseudostupidità». In parole povere si tratta della difficoltà di utilizzare al meglio le proprie potenzialità cognitive. L’obiettivo dell’intervento educativo è «riallineare» i due cervelli. Come? Innanzitutto mantenendo la calma. «Quando un preadolescente si arrabbia, il suo cervello emotivo è in balia dell’ira», spiega Pellai. «Ciò che dice in questi momenti (“Sei il peggior genitore del mondo”) viene dalla sua parte emotiva, non da quella cognitiva. Se perdete l’equilibrio più di lui, urlate, lo minacciate, accentuerete il suo stato di attivazione emotiva, anziché insegnargli a usare le sue risorse cognitive».
Giusto equilibrio tra protezione e autonomia
«Bisogna procedere per gradi», suggerisce Oliverio Ferraris. «Si concede una prima dose di autonomia in alcuni ambiti e si vedono le reazioni. Se lui o lei mostra di essere responsabile, si concedono via via altre zone di indipendenza che possono riguardare spostamenti, attività del tempo libero, gestione del denaro. Il ragazzo deve capire che l’importante non è godere di una completa libertà, ma constatare che i genitori non lo trattano più come un bambino, che hanno fiducia in lui, nella sua capacità di comprendere le situazioni e di autogestirsi».
Gli errori da non commettere
Bignamini mette in guardia i genitori dagli errori «in buona fede». Per esempio quello di sovrapporre i nostri desideri e le nostre esigenze con i loro. «Tenerlo presente ci aiuta a non rimanerci male se lui o lei non salta di gioia all’idea di venire con noi al museo. Ci insegna soprattutto a non leggere i loro insuccessi automaticamente come nostri».
Seconda trappola: convincersi che il ragazzino nel pieno della muta sia rappresentativo del giovane uomo o donna che diventerà. I mutanti per esempio possono essere travolti da una noia immensa, un disinteresse generale che suscita negli adulti rabbia e impotenza, ma anche questo fa parte della riorganizzazione mentale di questa fase. Passerà.
Le linee guida, dunque, sono chiare, come riepiloga Oliverio Ferraris:
- capire che è in atto una trasformazione evolutiva importante e positiva.
- Dialogare.
- Essere coerenti e credibili.
- Non entrare in ansia.
- Non cedere su tutto per paura di non essere amati dai figli.
- Comprendere che gli effetti di una buona educazione non si vedono nell’immediato, ma sui tempi lunghi.
Fondamentale è anche la sinergia con gli altri adulti di riferimento: insegnanti, istruttori sportivi, catechisti. Che lo vogliano o no questi adulti, per la posizione che occupano, sono dei modelli a cui i ragazzi guardano e si ispirano. Devono essere preparati sul piano psicologico a trattare con loro».
I rischi della preadolescenza
«Questa flessibilità è una grande occasione per la costruzione del pensiero e la socializzazione. Questa situazione può anche rendere il preadolescente più vulnerabile e spingerlo verso comportamenti instabili o peggio pericolosi».
Quali le insidie maggiori?
- Competizione coi pari portata all’estremo,
- voglia di sembrare grandi e di “contare” tra gli amici,
- desiderio di sottrarsi al controllo degli adulti, di mettersi alla prova.
«Come spiega la neurofisiologa Patricia Casey, gli adolescenti appaiono imprudenti non perché sottovalutano i rischi, ma perché sopravvalutano le ricompense, per esempio mostrare il proprio valore, ottenere l’ammirazione dei coetanei. Per loro questi aspetti sono più gratificanti che per noi. Infatti i centri della ricompensa del cervello sono molto più attivi di quelli degli adulti».
Quando serve un aiuto in più
E se il mutante accelerato appare del tutto sfuggito alle maglie del controllo educativo genitoriale, può essere indicato l’aiuto di un professionista. «Oltre a offrire uno sguardo più lucido sulla situazione», chiarisce Bignamini, «può fargli arrivare il messaggio che i suoi comportamenti hanno superato una soglia di attenzione e di gravità tali da richiedere un immediato intervento». Bisogna dare il meglio di noi, accettare di avere dei limiti, comprendere che gli errori sono inevitabili e spesso inscritti nella nostra storia, perché traggono origine dalla relazione che abbiamo avuto con i nostri genitori quando eravamo
bambini. «L’importante è non spaventarci quando sbagliamo, non flagellarci con i sensi di colpa. Ciò che conta è riconoscere gli errori per non ripeterli. Non accampiamo scuse e non sottolineiamo che anche nostro figlio ha sbagliato in passato. Ammettiamo lo sbaglio e rendiamoci disponibili a rimediare. I figli impareranno una lezione importante: anche i grandi sanno chiedere scusa» conclude Pellai.
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