C’erano una volta i telefilm. Ogni puntata, rigorosamente settimanale, era attesa con trepidazione e lasciava tutti con il fiato sospeso. Innescava un eccitante conto alla rovescia fatto di supposizioni, commenti e chiacchiere animate su cosa succederà e perché è andata così. Oggi, invece, ci sono le serie tv. Scaricabili dal web, fruibili on demand (quando e dove si vuole) da piattaforme a pagamento o in dvd da collezione. Si guardano tutte d’un fiato, come un film, azzerando il gusto della sospensione. Basta un pc portatile, un tablet o uno smartphone per sapere subito se quel personaggio morirà o se i due amanti si ritroveranno. «Il problema è che la nostra società è sempre più impregnata da quello che Freud definì il “principio del piacere”, cioè “voglio tutto e subito”. In un mondo in cui l’immagine e la sua velocità di deperimento (si pensi alla rapidità imposta dai social) caratterizzano il nostro modo di essere, l’attesa ha perso il suo connotato attrattivo» spiega Vincenzo Russo, Professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing presso la Libera università di lingue e comunicazione Iulm di Milano.
Tra spettatori e attori nasce una “tele-amicizia”
Consapevoli di questi meccanismi, gli sceneggiatori assemblano un mix esplosivo di fattori a cui è impossibile resistere: sfruttano l’attrattiva psicologica di storie eccezionali, oppure molto comuni, quindi rassicuranti per chi guarda, impersonate da attori stupendi, e incatenano gli eventi in modo da suscitare un crescendo di emozioni che diventa quasi doloroso interrompere. «Potrei definirla una “tele-amicizia”, ovvero un processo di attaccamento verso personaggi percepiti come un “simulacro” di persone reali, che si pensa di conoscere perché si ha la facoltà di spiare le loro vite fittizie, a cui si finisce per dedicare tempo e pensieri, rendendoli tangibili e affezionandosi in modo concreto», spiega lo psicologo Giuseppe Lavenia, Presidente dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche Gap Cyberbullismo e vicepresidente dell’Ordine degli psicologi delle Marche.
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Guardare serie tv può apportare benefici
«Se gestita con buon senso e autocontrollo, la passione per le serie tv può anche apportare dei vantaggi», afferma Lavenia. Lo conferma una ricerca pubblicata sulla rivista Group Processes & Intergroup Relations, secondo cui la visione può influenzare il modo di relazionarsi con gli altri, favorendo empatia, apertura sociale e riducendo i pregiudizi verso chi è diverso. Gli spettatori si identificano coi personaggi, imparano dalle loro esperienze, li prendono a modello. «La serie può anche contribuire a costruire legami all’interno di un gruppo e far nascere dibattiti costruttivi in cui prendere posizione, avendo quasi la sensazione di essere dentro la storia», sottolinea Russo. Un altro studio, della Aberdeen University (Gran Bretagna), sottolinea come condividere questa passione col partner possa persino migliorare la vita di coppia. «Ma solo se il tempo trascorso davanti alla tv non sostituisce quello riservato alle esperienze reali (uscite, intimità, frequentazione di amici) e la visione diventa un’occasione di dialogo e confronto», sottolinea lo psicologo.
I rischi di un uso compulsivo
Al contrario, chi non sa dire basta corre rischi. Episodio dopo episodio, finisce per essere risucchiato in un vortice emozionale che toglie il sonno, la fame, la voglia di uscire. «Gli effetti di un uso compulsivo sono diversi», sottolinea Lavenia. «Tendenza all’isolamento, appiattimento dei rapporti sociali, indebolimento del senso critico (si tende a prendere per vero tutto quanto esce dalla bocca dei protagonisti), idealizzazione e adulazione di modelli fittizi, lontani dalla realtà. Guardare le puntate in compagnia, partecipare a forum o incontri a tema non sempre scongiura questi effetti antisociali, a volte può peggiorarli perché sono esperienze autoreferenziali, cioè si parla sempre e solo di quelle tematiche. Al tempo trascorso davanti allo schermo si somma quello passato a discuterne, aumentando il meccanismo di attaccamento». Le lunghe maratone televisive scombussolano i ritmi del sonno e incentivano il rituale dello sgranocchiamento: ben presto il numero di puntate accumulate in una notte viene superato da quello dei pacchetti di patatine ammucchiati sul divano. «Molti studi hanno confermato che le luci blu emesse dai dispositivi digitali interferiscono con il rilascio di melatonina, l’ormone del riposo. Inoltre le storie trasmesse, mantenendo alto per ore il livello di attenzione, impediscono al cervello di disattivarsi. E l’effetto eccitante perdura anche dopo la fine della visione», sottolinea lo psicologo.
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Gli effetti dell’astinenza da serie tv
«In alcune persone, la visione delle serie può essere paragonata alla dipendenza da sostanze», racconta Russo. «Una ricerca condotta nel 2013 da una società tedesca di neuromarketing ha valutato l’effetto emozionale di questi programmi misurando la reazione psicofisiologica dei telespettatori con un elettroencefalogramma e con misuratori di attivazione biometrica». Fu dimostrato che le puntate erano in grado di attivare, nei serialminder, una reazione del tutto simile a quella provata in condizione di dipendenza, come aumento del battito cardiaco e della temperatura, sudorazione, analizzando anche l’eventuale tachicardia e le variazioni ormonali. «L’impossibilità di vedere la serie preferita comincia a generare una vera crisi di astinenza, con sintomi quali tensione, ansia, apatia, umore depresso», conferma Paolo Cavedini, Responsabile Centro di Eccellenza per i Disturbi Ossessivo-Compulsivi (ieDOC) del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche presso la Casa di Cura San Benedetto (Como) e del Centro Europeo Disturbi d’Ansia ed Emotivi (CEDANS) di Milano.
Le serie diventano un’ossessione? Ecco i campanelli d’allarme
In genere sono gli altri (famiglia, amici) i primi ad accorgersi che è il caso di rallentare. «Il campanello d’allarme più importante è la riduzione progressiva di svaghi alternativi (uscite, hobby, passatempi) e interazioni sociali», chiarisce Cavedini. Importante cogliere i primi segnali, legati al tempo trascorso davanti alla tv, che condiziona i ritmi quotidiani, sempre più scanditi dall’impellente bisogno di vedere le puntate: si rifiutano impegni, si è infastiditi da ciò che distrae, ci si isola anche in casa, chiudendo la porta e indossando le cuffie. Si viene totalmente risucchiati dall’universo parallelo della finzione, sovrapponendosi ai personaggi, arrabbiandosi per le loro scelte non condivise o chiedendosi come ci si comporterebbe in quella situazione. «Un insieme di fattori contribuisce a trasformare semplici comportamenti in dipendenze: vulnerabilità individuale, predisposizione genetico/biologica, ambiente familiare e sociale», spiega lo psichiatra. «Le persone con un preesistente disagio psichico, quelle con un vissuto sfavorevole di vita e o che subiscono situazioni di stress cronico sono le più suscettibili. La fascia adolescenziale è a rischio, così come le donne di mezza età, che spesso consumano molta televisione e facilmente si identificano in ciò che vedono. La psicoterapia cognitivo-comportamentale è l’approccio più efficace, in certi casi coadiuvato da farmaci che agiscono sulla serotonina, un neurotrasmettitore cruciale nella regolazione dei comportamenti».
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