L’uso di parolacce oggi è sempre più massiccio, sdoganato nelle strade, negli uffici, nelle famiglie, nelle canzoni, nei film, nella stanza da letto. E sui social, naturalmente.
Ormai, il turpiloquio non fa quasi più arricciare il naso a nessuno. Il termine volgare che indica il genitale maschile, per esempio, è l’incipit o il finale di molte frasi fatte e, a seconda di come lo si intona, può voler sottolineare una sfumatura emotiva del momento, come stupore, fastidio, gioia, rabbia, disgusto, noia. Tanto che il lemma è presente ormai in tutti i dizionari della lingua italiana.
Non sono più sintomo di maleducazione
«Dal ’68 in poi abbiamo assistito a un punto di rottura con il passato, irreversibile a quanto pare», sostiene Luigi Aprile, professore associato di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Firenze. «Si ha avuto sempre più bisogno di infrangere le regole, i tabù, credendo di acquisire una nuova libertà personale e di aderire al modello dominante. Ormai, rispettare la regola del non dire parolacce, almeno in pubblico, è un segno di comportamento retrivo, obsoleto, ligio al conformismo e rischia di far apparire insignificanti agli occhi degli altri».
Ecco perché le parolacce non sono più segno di maleducazione, ma «di distinzione e di forte personalità di chi le pronuncia». Trasgressivo, allora, diventa chi non le dice.
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Chi le pronuncia è spontaneo
Stando a quanto riportato da uno studio dei ricercatori delle Università di Stanford, Cambridge, Maastricht e Hong Kong, pubblicato su Social Psychological and Personality Science, chi fa uso del turpiloquio si rivela una persona capace di manifestare le proprie emozioni senza filtri. È spontaneo e sincero, una persona di cui ci si può fidare.
Facciamo un esercizio di memoria e pensiamo a Clarke Gable, il Rhett Butler di Via col vento, quando risponde a Rossella «francamente, me ne infischio!». Non si può certo dire che non fosse autentico. Quella frase, che oggi farebbe sorridere, costò ai produttori 5.000 dollari di multa, perché fuori dalle regole del bon ton.
Quindi chi non dice parolacce non è sincero? «No, forse si può dire che è più trattenuto, ma si deve anche aggiungere che è attento a non violare la norma sociale del rispetto. Se vogliamo stare con gli altri, dobbiamo imparare a limitare il nostro Io, il nostro ego», continua lo psicologo.
Volgarità da campagna elettorale
Donald Trump, che nel 1987 scrisse «Se fotti me, ti fotto dieci volte di più», oltre a fare sfoggio di toni scurrili nel suo libro, ha usato le parolacce anche in campagna elettorale. Da quanto evidenzia uno studio dell’americana Northern Illinois University, pare che aumentino la capacità di persuasione di chi le semina qua e là in un discorso.
Perché rimangono più impresse nella mente di chi ascolta e si sintonizzano con uno stato emotivo condiviso. «Molti leader usano parolacce. E, a volte, cadono prede di un delirio narcisistico», commenta Aprile. «Sono i narcisi, infatti, che ne fanno più uso. Le persone che credono di valere più degli altri e di potersi permette di trasgredire a qualsiasi regola di comportamento. Sono anche indice di un certo grado di aggressività verbale, che potrebbe trasformarsi anche in fisica».
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Hanno un effetto analgesico
Secondo un altro studio inglese, le parolacce che escono dalla bocca quando ci si fa male o si è stressati hanno la capacità di allentare la tensione e di alleviare il dolore. Hanno un effetto antidolorifico e analgesico, insomma. E possono anche sdrammatizzare i toni e suscitare ilarità. «Assecondano un piacere sadomasochista, sadico per chi le dice, masochista per chi le ascolta», spiega l’esperto. «Uscendo dalla convenzione sociale, però, si sottende che non si ha rispetto per se stessi in quell’istante, per quello che si sta provando, e nemmeno per chi ascolta. Così facendo si distrugge l’equilibrio del parlar cortese e della regola della convivenza civile».
Si dicono anche con gli emoticon
«Oh, merda!» non c’è più bisogno di esclamarlo, lo si può trovare tra gli emoticon e inviarlo senza troppe remore. Le parolacce non sono più solo parole, ma sono anche racchiuse in un faccino da appiccicare a un messaggio su un social messenger. «Parlare per immagini è sempre più frequente in questo tempo, quindi si è tradotto in simboli ciò che fino a poco tempo fa si diceva, ma di certo non si scriveva con tanta leggerezza», continua lo psicologo.
Le bestemmie sono ancora tabù
Se le parolacce non scandalizzano (quasi) più nessuno, le bestemmie hanno ancora la capacità di impietrire. Infastidiscono, irritano, urtano. «Le prime infrangono una regola sociale, mentre le seconde qualcosa che riguarda la religione, il sacro, il divino. Non sono terrene come le parolacce, hanno a che fare con il sovrannaturale e con ciò in cui si crede», conclude Aprile. Quindi, di conseguenza, offendono chi le ascolta.
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