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Dovremmo fare nostro
l’otium dei latini
Eppure lo sappiamo, ogni tanto ci vorrebbe. Qualche ora nel letto al mattino, una passeggiata senza meta, stare a tavola ben oltre la fine del pranzo, la lenta lettura sprofondati in poltrona. Un tempo erano le domeniche le giornate dedicate all’ozio, oggi invece, sempre più spesso, la lista delle cose da fare non sappiamo più dove scriverla: sul calendario, sull’agenda, nel telefonino, con i post-it sul frigorifero. Segna e spunta, segna e spunta. E quando una vocina ci invita a rallentare, le risposte sono quasi sempre le stesse: «poi», «magari più in là», «non è il momento», «forse in vacanza». Ecco, le vacanze: quanti di noi le trascorrono riservando il giusto spazio all’ozio? Spesso la frenesia di fare, di controllare mail e messaggi, di programmare, ci segue anche in spiaggia o in una baita a 2mila metri. Salvo poi ritrovarsi con le batterie totalmente scariche o qualche acciacco fisico e rimpiangere di non aver trovato un po’ di tempo per il dolce far niente. Siamo sicuri che oziare, di tanto in tanto, sia davvero un vizio? Un comportamento da pigri, da egoisti, un inutile spreco di energie? «Dipende da cosa intendiamo per ozio», esordisce Duccio Demetrio, professore di filosofia dell’educazione all’Università Bicocca di Milano e direttore scientifico dell’Accademia del silenzio di Anghiari (Arezzo). «Oggi questa parola ha una connotazione negativa, è diventata sinonimo di inerzia, pigrizia, indolenza. L’immagine classica? Starsene sul divano davanti alla tv. E allora, per quanto sia legittimo ogni tanto, si tratta solo di un riposo passivo e non di un momento davvero capace di rigenerarci». Altra cosa è invece se la pausa d’ozio è intesa nel suo significato originario, l’otium dei latini, per intenderci, quello spazio dedicato alla riflessione, votato a stimolare il pensiero, variando il tipo di impegno usuale. «Si chiama ozio creativo ed è uno spazio di cui oggi c’è ancora più bisogno di ieri», continua Demetrio. «Sfruttare il tempo libero per dedicarsi alla propria individualità, scoprire e coltivare le nostre risorse, non solo è un antidoto indispensabile alla fatica della quotidianità, per prendere fiato ed essere più produttivi, visto che non è possibile lavorare bene se non si ritagliano dei momenti in cui rilassarsi e ricaricarsi, ma è anche la chiave dell’appagamento».
Lo studio: fermarsi rende felici
Anche la scienza lo conferma. Interrompere il flusso di lavoro, prendersi delle pause aiuta a mettere in ordine le proprie idee, a sentirsi soddisfatti e a ritrovare la motivazione per continuare meglio. Secondo uno studio condotto da un gruppo di neurologi dell’Università di Kyoto, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, nei momenti dedicati alla riflessione e alla meditazione si stimola il precuneo, una regione del cervello strettamente collegata con l’appagamento. Per arrivare a questa conclusione, gli esperti hanno coinvolto un gruppo di volontari e fatto loro delle domande di vario tipo per «misurare» quanto si sentissero felici e appagati. Poi hanno confrontato le informazioni raccolte con i risultati di una risonanza magnetica del cervello di ciascuno ed è emerso che le persone tendenzialmente più felici avevano un precuneo di volume maggiore. Come hanno commentato gli stessi autori, è riduttivo indicare il precuneo come unica sede della capacità di sentirsi felici, ma è stato confermato il ruolo importante della riflessione e del precuneo nel fare esperienza del piacere.
Pesa l’horror vacui
La felicità, o qualcosa che le assomiglia, dunque, passa dal saper gestire bene il proprio tempo libero, che tuttavia ha il difetto di sembrare poco. A guardare bene, però, l’attività frenetica in parte ce la cerchiamo: se c’è un piccolo interstizio tra un impegno e l’altro, ne approfittiamo per far qualcosa. Perché? «Fermarsi, spesso, fa paura», interviene Rosa Angela Fabio, docente di psicologia sperimentale all’Università degli Studi di Messina. «Rappresenta la possibilità di restare soli con noi stessi e ritrovarci a tu per tu con i nostri nodi irrisolti, i limiti e le parti che rifiutiamo e non vogliamo ascoltare. Il tempo vuoto, così, diventa un nemico da evitare il più possibile e spinge ad attivare delle difese: per esempio, a coprire quel silenzio da cui nascono le ansie più acute, come il messaggio che non arriva o la telefonata che ritarda, con rumori di qualsiasi tipo, telefono, iPad, tv, e a inanellare un impegno dopo l’altro. Se c’è un momento libero il pensiero va subito a come poterlo riempire e quasi mai a come lasciarlo vuoto in modo positivo, a come goderne senza aggiungere un’altra attività». Insomma, l’horror vacui fa perdere di vista il padre di tutti i vizi ma anche di molti piaceri, per dirla alla Roberto Gervaso.
Un investimento di benessere
Essere costantemente impegnati, insomma, anestetizza il senso di solitudine, ma il rischio di andare avanti come trottole è quello di fare la loro fine visto che, quando si fermano, cadono. «La prima conseguenza diretta del superlavoro è lo stress, che poi ognuno canalizza in modo diverso», commenta Rosa Angela Fabio. «Può sfociare in disturbi fisiologici come tachicardia, alopecia, dermatite, gastrite; in problemi di natura emotiva, per cui ad esempio si può diventare più ansiosi o più fragili e scoppiare a piangere per un nonnulla; oppure può intaccare le funzioni cognitive provocando disturbi nell’attenzione, nel linguaggio o danni a carico della memoria a breve termine. Per cui può succedere che anche le parole più usuali, restino, come si suol dire, sulla punta della lingua. Si tratta spesso di disturbi temporanei, ma che non vanno sottovalutati». La questione è anche più profonda: le persone iperattive, infatti, se da un lato sono in grado di saper fare tante cose contemporaneamente, dall’altro hanno più difficoltà all’introspezione. «È stato dimostrato che chi ha un soglia di arousal alta (un indice che misura la prontezza di attivazione dell’organismo e l’eccitabilità) ha una maggiore tendenza a disperdere il proprio potenziale e un deficit nel pensiero critico», continua la psicologa. Si innesca quindi un circolo vizioso: infatti, chi ha un deficit nel pensiero critico tendenzialmente si annoia presto e quindi viene spinto a cercare nuovi stimoli, nuove attività da aggiungere, alimentando così l’iperattività. «Il risultato è una sensazione di frustrazione continua, dovuta alla ricerca spasmodica di un appagamento che non arriva mai, che si aggiunge alla stanchezza di portare avanti tanti impegni», commenta Rosa Angela Fabio. Ecco allora che qualche momento di inerzia può rappresentare un investimento in benessere fisico e mentale.
Idee da mettere in pratica
Per rompere questo circolo vizioso, il primo passo è considerare la solitudine non come qualcosa di triste e negativo, ma come un momento per tornare in contatto con se stessi, riscoprire il piacere di pensare, più che parlare, di guardarsi intorno più che chattare. «I benefici saranno tantissimi: aumentano il senso d’indipendenza, l’empatia, l’autostima e il pensiero positivo», commenta la psicologa. Recuperare la capacità di riflessione e concedersi un po’ di ozio creativo, però, sembra tutt’altro che facile. «In realtà basterebbero piccoli gesti», suggerisce Demetrio, «come passeggiare senza fretta fermandosi ad ammirare la natura, il paesaggio che cambia. Si tratta semplicemente di trovare del tempo per fare ciò che piace, abbandonando l’ansia del controllo e lasciandosi sorprendere da quello che accade: che sia disegnare, dedicarsi alle piante oppure scrivere, lasciando libera la fantasia o raccontandosi in un diario. Scrivere di sé, in particolare, è un esercizio prezioso per riscoprirci e notare aspetti nuovi di noi stessi, trovare la nostra unità e le nostre molteplicità. Quando mettiamo nero su bianco emozioni ed esperienze, creiamo un altro da noi, ci vediamo agire, sbagliare, amare, soffrire, gioire, e vederci da un altro punto di vista può essere molto sorprendente e terapeutico».
Attenzione ai più piccoli
Dietro genitori super impegnati ci sono spesso bambini che corrono dietro a mille attività. Meglio non esagerare. «L’affollamento di troppi stimoli, alla lunga, rischia di rendere più difficile il ragionamento autonomo dei piccoli e di spegnere la loro creatività, due componenti essenziali per una crescita sana», spiega Emanuela Iacchia, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva. «Per i bambini, avere uno spazio libero per il gioco spontaneo, dove sono loro a darsi dei ritmi e questi non vengono imposti dalle rigide regole degli adulti, ha un’azione tranquillizzante, stimola la fantasia, serve a farli sognare, inventare, e soprattutto a riflettere su se stessi e conoscersi meglio. Un bimbo “più esperto di sé” , dei propri desideri, sarà anche più capace di scegliere, più sicuro e saprà rapportarsi con gli altri in modo più autentico e sereno». Per capire qual è la soglia, il giusto equilibrio tra le loro esigenze e la voglia di spronarli, basta osservarli e cogliere dei segnali: «Se i piccoli mostrano insofferenza, stanchezza, sono agitati o mettono in gioco i classici segnali dell’evitamento, per cui alle soglie di una prova o un compito lamentano piccoli o grandi disturbi, è bene allentare un po’ la presa e lasciarli liberi di scegliere come passare il tempo, anche a costo di farli annoiare un po’», conclude Iacchia.
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