Per diventare un bravo musicista il talento non basta. Più della predisposizione naturale alle note, contano l’applicazione e l’esercizio: sono loro che nel tempo plasmano le funzioni musicali del cervello, tanto che per sfiorare la perfezione servono più di 18.000 ore di studio. Lo dimostra una ricerca condotta dal Centro per le Neuroscienze dell’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con professori e allievi del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Frontiers in Auditory Cognitive Neuroscience, è coordinato da Alice Mado Proverbio, docente di psicobiologia e psicologia fisiologica dell’ateneo meneghino.
«Questa ricerca – riassume l’autrice – mette in luce il ruolo cruciale dell’esercizio nel plasmare le funzioni musicali del cervello, indipendentemente dal talento musicale. Spiega inoltre perché una dote del bravo allievo debba essere la perseveranza».
Per giungere a questa conclusione, i ricercatori sono entrati nelle classi di violino e clarinetto del Conservatorio, osservando da vicino lo sviluppo dei neuroni specchio audiovisuomotori, che permettono al musicista di collegare il gesto al suono non solo quando è lui a impugnare lo strumento, ma anche quando osserva un altro che lo fa. La ricerca ha coinvolto 19 allievi, di cui 10 violinisti e 9 clarinettisti, dai 14 ai 24 anni d’età e con alle spalle da 2 a 18 anni di studio dello strumento. Ai partecipanti sono stati mostrati 396 video di violinisti e clarinettisti professionisti, che suonavano 200 combinazioni totalmente nuove di note doppie o singole a coprire tutte le altezze dei suoni, riprodotte in modo non melodico. Gli studenti dovevano riconoscere esattamente le note emesse soltanto osservando la scena. I dati raccolti mostrano come la quantità di tempo che l’allievo impegna nell’esercizio, e cioè gli anni di studio passati al Conservatorio, sia direttamente collegata ai risultati del test.
«E’ come se gli allievi più avanzati avessero interiorizzato così solidamente il collegamento tra suono, gesto e immagine da percepire in maniera automatica un’eventuale incongruenza, con una percentuale di errore che diminuisce in modo lineare all’aumentare degli anni di pratica», spiegano i ricercatori. I primi effetti della modificazione cerebrale sono osservabili dopo 4-6 anni di studio intensivo e continuano progressivamente dopo il diploma e il master: veder suonare attiva anche il saper suonare ed evoca il suono associato al gesto. Fino a 3 anni di studio la percentuale di errore di un musicista è vicina al 50%, mentre solo dopo aver conseguito il diploma (almeno 12-18 mila ore di studio), la percentuale di errore scende sotto il 10%, come per i professori.
«Il cervello di un musicista – aggiungono i ricercatori – è in grado di ricordare milioni e milioni di note musicali, di produrre 1.200 movimenti al minuto e di percepire differenze infinitesime nelle altezze dei suoni. Ma questa capacità, fatta di più abilità che si intrecciano tra loro in modo multimodale, richiede un complesso apprendimento da parte del cervello, che interessa numerose regioni visive, uditive e motorie, e che continua anche dopo 12, 15 e addirittura 18 anni di studio».