Indolore, sicura e anche ‘indossabile’: la stimolazione transcranica a corrente diretta (tDCS) è una frontiera della neurologia ancora in fase di esplorazione ma che promette ormai da anni di curare i danni di ictus, disturbi del linguaggio (afasia), spingendosi fino a schizofrenia, Parkinson e depressione.
Nonostante i risultati incoraggianti degli studi finora condotti, la metodica non è ancora approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) americana, il suo utilizzo rimane circoscritto all’ambito sperimentale e ancora dibattuto: sono necessari più dati sui pazienti, e non solo su soggetti sani, e si deve raggiungere un punto comune su limitazioni etiche (come il doping mentale). L’idea alla base, in attesa degli sviluppi della ricerca, è però validata all’unanimità: essendo il cervello una enorme e intricata rete di circuiti elettrici, la stimolazione con corrente a bassa intensità (solo 2mA) può indurre o smorzare l’attività dei neuroni, spingendoli a ripristinare o compensare funzioni cerebrali danneggiate o alterate. Il suo principale impiego, infatti, è nella neuroriabilitazione, ad esempio dopo un ictus.
Niente di iper-tecnologico, al contrario di quello che si potrebbe immaginare: serve solo una cuffia di gomma, da indossare sul capo, e degli elettrodi, collegati a un generatore di corrente. Ci spiega come si fa e quali sono le controindicazioni al suo impiego Alberto Priori, responsabile del Centro per la Neurostimolazione e i Disordini del Movimento presso il Policlinico di Milano.