Quando si dice precorrere i tempi. Adriano Celentano aveva già capito tutto 50 anni fa. Vi ricordate le malinconiche note de “Il ragazzo della via Gluck”? «Là dove c’era l’erba ora c’è…
una città», recitava il ritornello. Ebbene, se anche voi avete provato quella stessa spiacevole sensazione guardando il vostro paese o la vostra città, potete dire di aver sofferto di “solastalgia”.
Non è una brutta malattia, e neppure una forma di mal di schiena. La solastalgia è una sorta
di nostalgia che si prova quando l’ambiente intorno a noi cambia in peggio, per colpa dell’uomo o per incidenti e disastri naturali. Il termine è stato coniato dal filosofo australiano Glenn Albrecht, quando lavorava all’Università di Newcastle, in Australia.
Il suo obiettivo era quello di descrivere in una sola parola quella sorta di straniamento e malinconia che scatta quando non si riconosce più l’ambiente vicino, quello che sentiamo più nostro, perché qualcuno o qualcosa lo ha rovinato irrimediabilmente.
Il termine solastalgia è risultato essere così efficace nel descrivere questa sensazione, che
si è subito diffuso a macchia d’olio nel mondo: è stato perfino trattato dalla prestigiosa rivista di medicina Lancet, nel suo report 2015 su salute e cambiamento climatico. La solastalgia, infatti, non riguarda soltanto i nostri Paesi più sviluppati e sempre più cementificati: è un problema anche nei Paesi in via di sviluppo flagellati da catastrofi naturali come le alluvioni o le eruzioni vulcaniche.
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