Ci sono quelli che ai colloqui di lavoro sorvolano sui flop e le lacune scolastiche. Chi al primo appuntamento mostra solo il profilo migliore, chi nega di commuoversi per un film romantico, chi nasconde di essere ritardatario, disordinato, permaloso. Cercare di mostrarsi sempre al meglio è umano. Gli psicologi la chiamano desiderabilità sociale. Lo facciamo di continuo, senza rendercene conto, perché ammettere di essere fragili non è facile. Ci si vergogna e si pensa, a torto, che mettersi a nudo non sia conveniente. Quello che non viene messo in conto è la possibilità (spesso la certezza) che prima o poi quelle piccole fragilità verranno a galla.
L’eventualità che vengano omessi i dettagli più imbarazzanti di se stessi è così frequente da essere prevista nei questionari di personalità a cui vengono sottoposti i candidati per una posizione lavorativa. Ma gli psicologi assicurano che prendere consapevolezza dei propri talloni d’Achille, imparare ad accoglierli e a vederli per quello che sono, senza ingigantirli, non solo non compromette le relazioni o la vita professionale, ma le migliora, perché favorisce un rapporto più autentico e onesto con se stessi.
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Essere fragili: la paura di mostrarsi vulnerabili
«In quasi tutti i colloqui e nelle interviste di selezione del personale ci sono aspetti del proprio carattere o del proprio vissuto che non vengono esplicitati per imbarazzo o perché ritenuti controproducenti, cioè contrari alle aspettative dell’interlocutore». Andrea Castiello D’Antonio è psicologo e psicoterapeuta, consulente di gestione delle risorse umane e già professore di psicologia del lavoro all’Università europea di Roma. «In pratica si cerca di anticipare, e di interpretare, le richieste dell’altro e si risponde mostrando solo i lati di sé che combaciano con quella aspettativa».
Le bugie bianche, le menzogne sociali e le bugie difensive
Si parla in questo caso di bugie bianche o menzogne sociali. Le usiamo (a torto) per migliorare i rapporti con gli altri. Poi ci sono le bugie difensive, dette per proteggere se stessi, ma anche le esagerazioni, le ambiguità, le mezze verità. «Tutte modalità che possono essere usate in ambito lavorativo, ma non solo, per dissimulare informazioni “scomode“ e acquisire il consenso di chi ci sta di fronte». Questo comportamento risponde a due bisogni:
- difendere la propria autostima, alimentata dai riscontri favorevoli,
- evitare di “dare in pasto“ all’interlocutore un elemento che può essere usato a proprio sfavore.
Essere fragili: omettiamo o mentiamo per proteggerci
«L’essere umano percepisce l’estraneo come un pericolo. Raccontare tutto di sé, anche i lati deboli, sarebbe come, per un animale, sdraiarsi sulla schiena, a pancia in su, di fronte a un predatore. È la paura che spinge a omettere o mentire, perché non sappiamo come può essere usata una determinata informazione su di noi da parte dell’altro. Per esempio, davanti a un esaminatore potremmo non ammettere di essere un po’ lenti nel portare a termine le mansioni che ci vengono assegnate. Questo perché temiamo che proprio la rapidità sia un requisito importante per ottenere quell’impiego».
I più a rischio sono gli uomini e chi soffre di ansia
Sono più propensi a coprire le proprie debolezze con bugie o omissioni gli uomini rispetto alle donne, le persone ansiose, caratterizzate da bassa autostima, paura dell’abbandono e dipendenza dall’altro, ma anche gli estroversi, cioè coloro che si trovano a proprio agio nelle situazioni sociali e amano essere al centro dell’attenzione. Ci sono individui che lo fanno di proposito, in modo conscio e finalizzato a uno scopo. Altri non sono abituati a parlare di sé e quindi glissano inconsapevolmente perfino sui propri punti di forza, oltre che, ovviamente, sulle proprie debolezze.
Essere fragili: perché la sincerità conviene
«Nessun candidato verrà ritenuto idoneo per qualsiasi mansione se emerge che durante l’incontro si è presentato in maniera non autentica e trasparente», assicura l’esperto. «La fiducia è alla base di ogni rapporto professionale. Ormai tutte le realtà lavorative sono molto attente a questi aspetti. Le tecniche di riconoscimento delle menzogne si sono diffuse molto negli ultimi anni, specialmente negli Stati Uniti, ma anche da noi. Si può essere traditi dal tono di voce, dalle espressioni del viso, da contraddizioni o balbettii».
La perfezione non piace nei colloqui di lavoro
Una ricerca internazionale condotta all’Università Bocconi, con istituti di Londra e Hong Kong si è occupata proprio del potere di essere sinceri. I risultati dello studio hanno rivelato che essere se stessi nei colloqui di lavoro, senza mettere in evidenza soltanto i pregi e i talenti ma menzionando anche punti deboli e difetti, è una strategia cinque volte più efficace (a parità di competenze) rispetto alla scelta di dare un’immagine «selettiva» di sé. I ricercatori hanno analizzato diversi ambiti professionali, dagli insegnanti agli avvocati, arrivando sempre alla stessa conclusione. Tra i candidati di alta qualità, hanno più successo quelli che si rappresentano in modo onesto. Gli esaminatori percepiscono subito una rappresentazione di sé troppo perfetta come non autentica. Apprezzano invece chi include anche le proprie debolezze, perché dimostra di essere equilibrato e consapevole.
La sincerità vince anche in amore
«Nelle relazioni, esternare le proprie fragilità viene percepito come un segno di grande sensibilità d’animo e rimanda all’altra persona l’eterogeneità del nostro essere», conferma Roberta Rossi, psicoterapeuta e sessuologa. «L’invincibilità è uno stereotipo che crolla al primo ostacolo. A quel punto lei (o lui) potrebbe sentirsi ingannata e delusa. Al contrario, trovarsi di fronte a qualcuno che si mostra per quello che è porta il partner a fidarsi e ad aprirsi».
Essere fragili: i consigli degli esperti
Naturalmente per non vergognarsi delle proprie debolezze di fronte agli altri bisogna innanzitutto ammetterle a se stessi, riconoscerle e accettarle. Ecco qualche consiglio.
1. Cambiare punto di vista: essere fragili può essere bello
Il primo passo per riconoscere le proprie fragilità è metterle sul piatto davanti a noi. Imparare a guardarle con distacco, senza giudicarle. «Iniziamo col chiederci cosa sia per noi una debolezza. Non è forse tutta questione di prospettiva? Per esempio, essere generosi potrebbe sembrare una dote di cui andare fieri. Potrebbe però anche essere vista come una debolezza, se all’origine ci fosse l’incapacità di saper dire di no». Serena Valorzi è psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale a Trento. «È il nostro giudizio che definisce ciò che per noi va bene e ciò che ci sembra invece motivo di dolore o imbarazzo, perché su quell’argomento formuliamo pensieri critici e inflessibili». «La nostra tendenza a pensare in modo autoreferenziale ci fa credere che anche l’interlocutore formulerà lo stesso giudizio, ma non è detto».
2. Smetterla di criticarsi
Che fare quando alcune caratteristiche della nostra personalità proprio non ci vanno giù? Si soffre spesso, per esempio, per la tendenza a rimanere immobili di fronte a un’ingiustizia o a usare il cibo come valvola di sfogo quando le cose non vanno per il verso giusto. Queste reazioni ci fanno sentire deboli, vigliacchi, senza spina dorsale. «Se ci critichiamo troppo per questi atteggiamenti, li amplificheremo in un circolo vizioso senza fine. Se invece le accettiamo per ciò che sono, cioè tentativi di modulare gli stati emotivi non funzionanti, potremmo trasformare la non accettazione in azione, metterci in moto per cercare di cambiarli, magari chiedendo aiuto a qualcuno. Chi ha detto che farsi aiutare sia prova di debolezza e non di intelligenza? Anche Superman ha avuto bisogno di qualcuno. Un ragazzino all’apparenza gracile, che gli porta via la Kryptonite e gli consente di avvertire gratitudine».
3. Accettare di non essere invincibili e di essere fragili
Molti hanno acquisito, fin dall’infanzia, l’assunto: tristezza uguale debolezza. I bambini grandi non piangono! Bisogna reagire! Mai mostrare il fianco sennò qualcuno ti ferirà! Così nasce la vergogna, da cui deriva la tendenza a nascondere le emozioni sotto il tappeto. «La tristezza e la vulnerabilità invece sono preziose. Sopraggiungono per segnalarci che ci manca qualcosa, sono la prova della nostra capacità di apprezzare qualcosa che non c’è, ma possiamo cercare di avere. Ci danno l’occasione di chiedere conforto con fiducia alle persone che sanno darlo, stando lontani da chi non ha fatto pace con la sua vulnerabilità e per questo critica chi, come noi, invece ci è riuscito». La vulnerabilità, dunque, è utile, anche per evitare una presunzione di perfezione autodistruttiva.
4. Uscire allo scoperto
La vita ci ricorda in ogni momento che non siamo esseri perfetti e onnipotenti. Lo spiega bene Giuliano Castigliego, psichiatra e psicoterapeuta a indirizzo analitico, nel libro Il coraggio della fragilità. Come affrontare il trauma della pandemia e convivere con un tempo incerto (disponibile come ebook per Clouds Longanesi). «Dobbiamo fare i conti tutta la vita con le nostre fragilità», conclude Castiello D’Antonio. «Riconoscerle e affrontarle aiuta a vivere meglio e a relazionarsi meglio con gli altri. Ogni volta che stiamo per presentarci a uno sconosciuto sappiamo già che ci verrà chiesto quali sono i nostri lati positivi e quelli negativi. Prepararsi una lista mentale delle proprie virtù e dei propri difetti non toglierà spontaneità alla nostra presentazione. Aiuterà invece a non scivolare in una versione di Superuomo o Superdonna poco credibile, anzi arrogante».
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