Per due uomini su dieci la paternità non è rose e fiori. L’umore viene messo a dura prova dopo la nascita di un figlio e nel 10% dei casi si parla di depressione post partum al maschile. Che i primi mesi di paternità siano felici, ma anche difficili – tra ansia, mancanza di sonno, stanchezza e nervosismo – è un conto, e si può dire che rientri nella normalità. L’arrivo di un bebè, infatti, comporta cambiamenti profondi, c’è un nuovo ruolo da rivestire, responsabilità maggiori, equilibri da ritrovare. Altro discorso è però quando ansia, stanchezza e nervosismo, insieme ad altri stati emotivi, non solo non accennano a diminuire nel giro di sei mesi-un anno, ma si amplificano.
«A segnare il confine tra una situazione di normale adattamento e una depressione post natale sono apatia perenne, angoscia, disturbi d’ansia, attacchi di panico, disturbi dell’appetito o del sonno, anche quando magari il bambino ormai dorme per più ore consecutive, e soprattutto crisi di rabbia, atteggiamenti aggressivi, scatti d’ira che prima non c’erano. Nei casi più seri si sfocia fino all’abuso di sostanze, disturbi di dipendenza, condotte violente», specifica Stefano Porcelli, psichiatra, psicoterapeuta, responsabile dell’area di salute mentale del Centro medico Santagostino di Bologna.
«Bisogna fare attenzione, infatti, a non usare gli stessi parametri di valutazione del malessere femminile che si manifesta in tutt’altro modo, un aspetto che tipicamente porta a sottostimare il problema. Un atteggiamento aggressivo, ad esempio, può non far pensare a una depressione che ricolleghiamo piuttosto a lacrime e tristezza, invece è tra i sintomi più precoci».
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Depressione post partum maschile: perché succede?
Perché succede? La depressione post partum delle mamme sappiamo essere il risultato di una complessa interazione tra fattori psicologici e ormonali. Cosa c’entrano gli uomini con gli ormoni? «Per gli uomini è la stessa cosa, anche se in percentuali diverse», continua lo specialista. «Di certo non subiscono le brusche alterazioni ormonali delle compagne, ma anche loro registrano dei cambiamenti; dopo la nascita si assiste a un calo del testosterone e un aumento dell’ossitocina, un neurotrasmettitore che promuove la formazione di legami e comportamenti di accudimento».
«Sono però i fattori psicologici a giocare il ruolo più rilevante. Diventare genitore è un cambiamento che comporta una totale ridefinizione del sé a cui l’uomo spesso non arriva adeguatamente preparato. Le donne dispongono – almeno teoricamente – di più strumenti per prepararsi all’evento, lo stesso legame fisico con il bambino le aiuta durante i nove mesi ad adattarsi gradualmente, mentre per l’uomo è un passaggio più brusco».
Come si manifesta?
Questa transizione di ruolo può far sentire un peso eccessivo di responsabilità, trascinare sentimenti di inadeguatezza, quindi la paura di non esserne all’altezza, o comportare una generale perdita di interesse. «In alcuni casi si manifestano “ansie di invischiamento” con la conseguente voglia di fuga dal proprio ruolo e, a volte, fisicamente dalle mura di casa, con eccessive fughe al lavoro», aggiunge Porcelli.
«Non mancano scenate di gelosia nei confronti della compagna per i sentimenti di esclusione da quel rapporto privilegiato che ha la madre con il figlio. È infatti un periodo di grandi rivoluzioni anche per l’intimità della coppia: è già cambiato il fisico della compagna, sono diverse le sue attenzioni e la sessualità quando va bene si riduce, ma nella maggior parte dei casi scompare, almeno nei primi tempi». Pesano infine le preoccupazioni per i possibili problemi economici, non a caso si parla di sindrome del capofamiglia. E il rischio di crolli dell’umore è in agguato.
Per i padri il disagio è prima sottovalutato, poi taciuto e trascurato
Esiste una certa predisposizione alla depressione post natale. «Dagli studi emerge che tanto dipende dalla struttura della personalità ed è più vulnerabile chi ha già una storia personale di depressione e disturbi d’ansia o più in generale problemi di autostima», spiega lo psichiatra. Si è visto che il rischio è più alto, poi, se anche la compagna soffre di depressione e non è difficile capirne i motivi: una neomamma stanca, triste, nervosa non può accudire appieno il piccolo, così il peso ricade sulle spalle del padre, a cui si aggiunge il carico di vedere la propria compagna soffrire.
«L’aggravante nel caso dei papà è che, mentre di solito attorno alle mamme c’è supporto sia da parte della famiglia che dal sistema sanitario con ambulatori dedicati e consultori, per i padri il disagio è prima sottovalutato, poi taciuto e trascurato», prosegue Porcelli. «Sottovalutato perché confuso con altro, taciuto per primo da chi ne soffre, per via di quell’atavica difficoltà dell’uomo a farsi aiutare. D’altronde è ancora presente lo stigma intorno al maschio che si mostra fragile, per cui si sente meno legittimato ad alzare la mano e chiedere aiuto. E, anche una volta emerso, il problema è trascurato perché storicamente è stata considerata sempre la madre la responsabile dell’accudimento, solo recentemente sta nascendo l’attenzione per il mondo maschile nei percorsi nascita».
Depressione post partum maschile: le ripercussioni sui figli
Le conseguenze del malessere paterno alla lunga le pagano anche i piccoli. Gli studi confermano che i figli di padri depressi sono a rischio di problemi emotivi e comportamentali futuri. Tra i più importanti, la revisione pubblicata dall’American Journal of Men’s Health che ha fatto emergere che le relazioni negative tra padre e figlio possono portare a uno sviluppo cognitivo, comportamentale, sociale ed emotivo dannoso per i bambini.
«È l’altra faccia della medaglia dell’importanza sempre maggiore che ha assunto il ruolo paterno nello sviluppo dei figli», dice l’esperto. «I nuovi padri, rispetto a quelli di generazione passate, sono più coinvolti e partecipi in ogni fase della vita della prole, ma tanto maggiore è anche la loro influenza nello sviluppo cognitivo-emotivo. Le fasi dell’attaccamento sono fondamentali, se una delle due figure genitoriali è meno presente perché affetta da sintomi depressivi, aumenta il rischio di avere problematiche psicologiche in età adulta».
Come si può curare?
La buona notizia è che uscirne si può. Le strategie di intervento per combattere la depressione post natale sono diverse, ma il primo passo è sempre quello: non chiudersi in sé stessi, non nascondere il problema. Parlarne, vincendo la paura di mostrarsi fragili, magari confrontandosi con gli amici (meglio se condividono l’esperienza di essere padri).
«Spetta a chi soffre il difficile compito di accettare il problema e poi di accettare l’aiuto», spiega Porcelli. «La compagna in questo ha un ruolo molto importante, almeno se non manifesta anche lei difficoltà ad adattarsi al nuovo ruolo. Dovrebbe essere il più possibile accogliente, disponibile all’ascolto, mettere da parte atteggiamenti di accusa o squalificanti, cercare di coinvolgere il compagno nella cura del bambino, gratificarlo per le cose che fa bene».
Quando la rete familiare e di amicizie non è sufficiente, è utile intraprendere un percorso di psicoterapia con uno specialista per un sostegno individuale, o di coppia se lo si ritiene opportuno. «È necessario cercare uno spazio dove potersi ascoltare liberamente, svincolati da sensi di colpa, lasciare emergere timori, angosce, fantasie, speranze», conclude lo specialista. «Quando serve, poi, sotto la guida dello psichiatra si può integrare un trattamento farmacologico per ridurre la sintomatologia depressiva, ansiosa, le difficoltà relazionali. È un intervento che non va demonizzato, ma visto come un’opportunità di cura, un ulteriore passo verso la strada che porta alla riconquista del proprio ruolo».
Può anche essere un disturbo passeggero
Depressione post partum e baby blues non sono la stessa cosa, anche se i termini vengono spesso sovrapposti. Con baby blues si intende un disturbo emotivo, lieve, comune e transitorio che in genere si risolve a due, tre settimane dal parto e solo in rari casi può peggiorare e diventare depressione post natale. I segnali sono di vario tipo: si va dal pianto all’ansia, dell’irritabilità alla difficoltà di concentrazione.
Per ridurre il rischio e affrontare al meglio la transizione da uomo a papà il consiglio è di promuovere il suo coinvolgimento e sostenere il ruolo sin dall’inizio della gravidanza, dalle visite ginecologiche ai corsi preparto fino a tutte le attività che riguardano il bebè.
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