Erica, 18 anni, frequenta il quinto anno del liceo linguistico. Nel documentario Tagli, prodotto da Darallouche Film per Discovery Italia, racconta la sua esperienza di autolesionismo. Il suo disagio ha radici lontane: la ragazza vive senza padre, subisce atti di bullismo e non sta bene con se stessa. Per questo motivo si taglia le gambe, smette di mangiare e tenta per ben due volte il suicidio. Grazie a una bocciatura (paradossale dirlo) e all’aiuto di uno specialista, Erica si “risveglia” ed esce dal tunnel della sofferenza. Stefano Vicari, direttore dell’unità operativa complessa di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, ci spiega cosa si nasconde dietro ai gesti di questi adolescenti e come si può superare questo malessere.
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Suicidi in calo ma autolesionismo in aumento
A livello globale, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, i suicidi si collocano al secondo posto tra le cause di morte nella fascia d’età tra i 15 e i 29 anni. E sono la seconda causa di morte anche in Italia tra i 15 e i 24 anni. Gli ultimi dati disponibili di Istat indicano fortunatamente che il trend dei suicidi è in calo: dal 1995 al 2017 in Italia numero dei decessi si è ridotto del 14%. A fronte di questa diminuzione, però, crescono i casi di autolesionismo e di cosiddetto comportamento suicidario tra gli adolescenti. All’Ospedale Bambino Gesù di Roma, ad esempio, le richieste urgenti per eventi di questo tipo in pronto soccorso sono aumentate di venti volte in otto anni.
Con l’autolesionismo ci si vuole procurare un danno
L’autolesionismo è un’attività volontaria finalizzata a procurare un danno al proprio corpo. I gesti autolesivi possono essere vari: i più classici e frequenti sono i tagli sulla pelle, ma altri ragazzi preferiscono mettersi deliberatamente in situazioni di potenziale pericolo con l’intento di farsi del male. Anche l’anoressia può essere ritenuta una forma particolare di autolesionismo. È ritenuto un fattore predittivo del suicidio: molti ragazzi che tentano di togliersi la vita, infatti, in precedenza si erano fatti del male.
Perché si si vuole fare del male?
L’autolesionismo è un sintomo di un disagio mentale, che i ragazzi «sfogano» sul corpo. Lo stato di sofferenza è tale che si ricorre ai tagli (o altre forme di lesioni) per alleviare fisicamente l’angoscia mentale. A volte è collegato alla depressione: in questo caso i tagli sono un modo per annullarsi, per dimostrarsi di non valere nulla. Altre volte, invece, deriva da un disturbo ossessivo-compulsivo: il ragazzo cerca di tenere tutto sotto controllo e per questo anche le incisioni saranno precise e ordinate. In altri casi, invece, è una spia di un sentimento più generico di ansia e di angoscia. Disturbi che a loro volta possono essere provocati da contesti variabili, dal cyberbullismo agli abusi, come racconto nel libro Il filo teso, scritto a quattro mani con Andrea Pamparana, dedicato ai disturbi mentali degli adolescenti.
Autolesionismo: come si può intervenire?
Essendo l’autolesionismo un sintomo di vari disturbi mentali, diverso sarà l’approccio di cura. Le linee guida richiedono un intervento di psicoterapia nelle forme lievi, mentre nei casi gravi si richiede una valutazione psichiatrica e si somministrano farmaci adeguati. La gran parte dei pazienti abbandona in pochi anni le pratiche autolesive.
Chiede l’aiuto di un esperto
L’attenzione sul fenomeno in Italia è ancora troppo bassa. I genitori e gli insegnanti faticano a rilevare il problema, se non quando si manifesta in forme estreme. Intervenire precocemente è però il solo mezzo per interrompere una spirale che può portare a gesti irreparabili. Bisogna quindi chiedere quanto prima l’aiuto di un esperto. Al Bambino Gesù è attiva, 24 ore su 24, la helpline «Lucy 06.68592265», composta da un team di psicologi esperti e pronti a dare una prima risposta ai problemi di natura psicologica e psichiatrica di bambini e ragazzi.
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