A seconda della lingua che si parla, cambia il modo in cui le persone vengono colpite dai disturbi del linguaggio dovuti alla demenza. Emerge da un piccolo studio condotto in California su pazienti italiani e inglesi che ha visto coinvolti specialisti americani ma anche del San Raffaele di Milano e del Fatebenefratelli di Brescia. Gli esperti hanno rivelato che mentre gli inglesi affetti da demenza hanno difficoltà a pronunciare le parole, gli italiani hanno più problemi con le frasi, che diventano più corte e più semplici.
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Studio su pazienti colpiti da afasia
I ricercatori hanno studiato 20 pazienti inglesi e 18 italiani. Tutti erano affetti da un’afasia progressiva. Si tratta di un disturbo neurodegenerativo che colpisce le aree del cervello collegate al linguaggio. È comune nelle persone con Alzheimer o con altri disturbi cognitivi legati all’invecchiamento.
Difficoltà diverse nell’affrontare i test linguistici
Le osservazioni sulla struttura del cervello hanno mostrato livelli simili di funzionalità cognitiva in entrambi i gruppi. Ma quando gli esperti hanno chiesto ai pazienti di completare una serie di test linguistici, hanno rilevato delle differenze evidenti nelle difficoltà che i due gruppi affrontavano.
Nell’inglese è difficile la pronuncia,
nell’italiano la grammatica
«Pensiamo che sia soprattutto perché le consonanti, che sono molti comuni nella lingua inglese, rappresentino una vera sfida per un sistema di linguaggio» spiega l’autrice dello studio Maria Luisa Gorno-Tempini, professoressa di Neurologia e Psichiatria. Dirige l’ALBA Lab dell’Università della California e il Memory and Aging Center di San Francisco. «A differenza dell’italiano, che è più semplice da pronunciare, ma ha una grammatica più complessa. E questo è il motivo per cui i pazienti italiani con un’iniziale afasia progressiva tendono ad avere problemi nella costruzione delle frasi».
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Dai risultati emerge quindi che i pazienti inglesi tendono a parlare meno, mentre quelli italiani, che hanno meno problemi nella pronuncia, cercano di semplificare ciò che vogliono dire.
Studiare più lingue
I ricercatori ora vorrebbero ripetere la ricerca in gruppi più ampi di pazienti e, soprattutto, allargare lo studio ad altre lingue. Ad esempio cinese o arabo. «Speriamo che lavori come questo facciano progredire le nostre conoscenze su ciò che sta dietro i disturbi del linguaggio. Aumentando la conoscenza e la consapevolezza sulle differenze di trattamento che i vari tipi di demenza meritano, e fondamentalmente migliorino la presa in carico dei pazienti» conclude l’esperta.
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