Uno studio tutto italiano
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Behavioural Brain Research, è stata condotta dalle Università di Milano-Bicocca e di Urbino, insieme all’Ospedale Niguarda del capoluogo lombardo e il Sert 1 di Milano.
È una vera e propria modificazione fisiologica che spiega perché una persona che consuma questa droga, resta soggetta a un elevato rischio di ricaduta.
Questa alterazione era stata finora solo ipotizzata, ma mai dimostrata
Per raggiungere i loro risultati i ricercatori italiani hanno misurato il livello di organizzazione funzionale delle reti cerebrali in stato di riposo di 18 ex cocainomani, che non assumevano la sostanza da cinque mesi.
Coinvolte due aree molto importanti del cervello
Il confronto fra il campione degli ex consumatori di cocaina e 19 persone che non avevano alle spalle una storia di tossicodipendenza ha rivelato una riduzione della connettività funzionale fra il nucleo accumbens – una regione profonda del cervello importante per la motivazione – e la corteccia dorsale prefrontale, implicata nel controllo cognitivo del comportamento.
Viceversa, il nucleo accumbens mostrava una maggiore connettività con la regione orbitale del lobo frontale, struttura che codifica il valore edonico delle ricompense. Negli otto pazienti che sono ricaduti nel consumo di cocaina tre mesi dopo le rilevazioni, l’alterazione era ancora più evidente.
Come è stato possibile effettuare queste misurazioni?
Grazie alla risonanza magnetica funzionale (fMRI, functional Magnetic Resonance Imaging) e a test psicologici basati su scale di valutazione dell’impulsività i ricercatori hanno provveduto a questa misurazione.
Il sistema push and bull
Lo studio ha evidenziato un sistema “push and pull”, basato su un rapporto di correlazione inversa, dove più forte è il rapporto fra corteccia orbitofrontale e nucleo accumbens (sistema della ricompensa), meno forte è il rapporto fra il nucleus e la corteccia dorsale prefrontale (sistema del controllo cognitivo).
Il parere degli esperti
«L’astinenza dei pazienti durava in media da 141 giorni – ha detto Manuela Berlingeri, docente presso l’Università di Urbino e il centro di Neuroscienze NeuroMi di Milano – e il fatto che dopo quasi cinque mesi il cervello mostrasse ancora gli effetti tipicamente indotti dal consumo di cocaina suggerisce che, di fatto, il farmaco sia in grado di lasciare una traccia nelle strutture cerebrali che resta impressa in un arco temporale relativamente lungo».
Si potrà capire quali sono i pazienti più a rischio
«I pazienti in cui il meccanismo individuato era più forte sono ricaduti – ha commentato Eraldo Paulesu, professore di Psicologia Fisiologica all’Università di Milano-Bicocca – e questo evidenzia una distinzione fra due gruppi e due momenti diversi. Le implicazioni pratiche future, dopo studi ripetuti sulla base di un campione formato da centinaia di pazienti, potrebbero evidenziare predittori del rischio di ricadute, per individuare quali pazienti seguire con più attenzione e quali siano i momenti di maggiore vulnerabilità».
TI POTREBBERO INTERESSARE ANCHE
Infarto: boom di episodi tra chi consuma cocaina
Cocaina: a sniffare ci si rimette anche il naso