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Sempre più depressi
Tra gli adolescenti stanno prendendo sempre più piede forme inedite di malessere. Si chiudono nella loro cameretta, a stento parlano con i genitori, a scuola si isolano, preferiscono vivere di notte, si rifugiano nei meandri della Rete e dei social. Sono gli Hikikomori, un termine giapponese che indica le persone, soprattutto adolescenti e giovani tra i 14 e i 30 anni, più spesso maschi ma anche femmine, che stanno volontariamente in disparte. Ogni anno 350 milioni di persone vengono colpite da questa malattia.
Hikikomori: tanti in Giappone, molti anche in Italia
E se nel Paese del Sol Levante se ne contano ormai più di un milione, il fenomeno è in preoccupante aumento anche in Italia, dove si stimano circa 100mila casi. A Milano esiste il Centro Studi Hikikomori, che studia la nuova patologia e aiuta le persone in cerca di aiuto. L’aumento degli Hikikomori è legato anche al bullismo, cui gli adolescenti sfuggono rinchiudendosi in casa. Ma attenzione, perché, al contrario di ciò che si potrebbe pensare, non si tratta di una forma di fobia sociale, né di una dipendenza dalle nuove tecnologie.
Hikikomori: caratteristiche del disturbo
«Il disturbo si potrebbe definire come una pulsione all’isolamento scaturita dalle eccessive pressioni familiari e sociali, che vanno dai buoni voti scolastici all’essere attraenti e in forma, dalla necessità di stare al passo con le mode all’avere un lavoro ben remunerato», spiega lo psicologo Marco Crepaldi, fondatore e presidente dell’associazione Hikikomori Italia. E il disagio, una volta innescato, può durare anche per lunghi periodi, da alcuni mesi fino a diversi anni.
Possibili cause
Tra i possibili fattori scatenanti, un carattere introverso e sensibile, assenza del padre, essere stati vittime di bullismo. Fondamentale la presenza degli adulti, sia genitori sia insegnanti, il cui ruolo, almeno nelle fasi iniziali del problema, può risultare decisivo.
Hikikomori: cosa fare e cosa non fare
«Per non essere respinti dagli Hikikomori, occorre porsi come interlocutori empatici e non giudicanti, in grado di riconoscere la sofferenza senza banalizzarla o sminuirla», suggerisce Crepaldi. «Solo in un secondo momento, evitando comunque qualsiasi tipo di forzatura, si può provare a spezzare la loro routine rigida e solitaria, coinvolgendoli in attività che li aiutino a evadere dai propri schemi. Sconsigliato, invece, privarli improvvisamente di internet, perché, così facendo, si potrebbe acuire il ritiro, in quanto significa togliere loro dell’unico mezzo di comunicazione esterno». Già dai primi segnali di isolamento è bene rivolgersi a un esperto, come uno psicoterapeuta o uno psichiatra.