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Posso aumentare la mia indipendenza dagli occhiali dopo l’intervento di cataratta?

Durante l'intervento di rimozione della cataratta, il cristallino naturale viene sostituito con uno artificiale, trasparente, perfettamente tollerato e in grado di correggere anche i difetti di vista

Anche gli occhi cambiano con gli anni. Le immagini diventano meno contrastate, qualcuno inizia a percepire aloni intorno alle fonti luminose, i colori possono perdere la loro brillantezza, la vista può annebbiarsi e risulta più difficile mettere a fuoco. Il motivo? La progressiva opacizzazione del cristallino. In altre parole: la cataratta.

Cataratta: in che modo si manifesta?

«Il cristallino, composto da acqua e proteine e collocato tra l’iride e il corpo vitreo, svolge una funzione simile a quella dell’obiettivo di una macchina fotografica, cioè consente il passaggio dei raggi luminosi e, aumentando e diminuendo il proprio spessore, regola la messa a fuoco delle immagini sulla retina», interviene Antonio Scialdone, Responsabile dell’Unità di Oculistica – Istituto Oftalmico San Donato presso l’IRCCS Policlinico San Donato di Milano. «Per questo motivo è trasparente ed elastico». Almeno fino ai 45 anni, quando poi arriva la presbiopia.

Il tempo, alterando il metabolismo delle sue fibre e proteine, determina una perdita di trasparenza che deteriora la qualità delle immagini. «A lungo andare, la vista si fa prima più imprecisa, poi offuscata e difficile, talvolta accompagnata da aloni, come se l’individuo guardasse attraverso il vetro sporco dell’auto. Possono comparire abbagliamento alle luci, una percezione meno vivida dei colori, un miglioramento paradosso della vista per vicino» continua lo specialista. Spesso ce ne accorgiamo in ritardo, perché il decadimento è lento negli anni.

Quali sono le cause?

Nel 90% dei casi la cataratta appare dopo i 60 anni perché il cristallino, proprio come tutto il resto del corpo, è soggetto a invecchiamento, che causa una progressiva riduzione della sua trasparenza, flessibilità ed elasticità. Oltre a quella senile, però, esistono altre forme di cataratta, che possono comparire anche in età giovanile. «Questa patologia può insorgere anche dopo la nascita o nei primi anni di vita, a causa di difetti ereditari o congeniti, o in presenza di altre malattie, come ad esempio il diabete, o di infezioni e infiammazioni oculari, tipo l’uveite. Anche l’assunzione di particolari farmaci, come i cortisonici, o l’aver subito traumi all’occhio può portare, a lungo andare, a un’opacizzazione del cristallino».

L’intervento chirurgico per rimuovere la cataratta

In caso di diagnosi di cataratta, la strada da percorrere è l’intervento chirurgico. Veloce, mininvasivo e indolore,
consente di recuperare un’ottima qualità visiva con la sostituzione del cristallino con una lente artificiale.

La tecnica

«A oggi le tecniche chirurgiche sono due. La prima, chiamata facoemulsificazione, consiste nella frantumazione del cristallino attraverso l’emissione di ultrasuoni. Lo specialista attraverso una incisione di 2 mm circa, esegue un’apertura nella parte anteriore della capsula (“buccia”) del cristallino e, mediante una sonda a ultrasuoni, frammenta in contenuto in piccolissimi pezzi, che vengono aspirati. Attraverso la stessa incisione viene poi inserito un cristallino pieghevole. Il cristallino artificiale, largo 6 millimetri, viene arrotolato proprio come un cilindretto e inserito con un apposito iniettore. Una volta dentro la lente artificiale si riapre, perché è elastica, e ricopre il suo spazio», spiega Scialdone.

Il laser a femtosecondi

La seconda tecnica è una evoluzione e prevede un abbinamento di ultrasuoni e laser a femtosecondi. «Quest’ultimo, introdotto alcuni anni fa, consente di realizzare un’apertura molto regolare della capsula in cui è inserito il cristallino, con conseguente posizionamento ottimale della nuova lente. Inoltre, il laser pre-frammenta il nucleo del cristallino in sezioni, alla stregua di un bisturi di luce. Questo strumento, dunque, serve soprattutto a facilitare l’intervento chirurgico e a regolarizzare il foro centrale», prosegue l’oculista. I risultati sono pienamente equivalenti a quelli senza laser. Lo svantaggio è un intervento più lungo, talora più fastidioso e la necessaria selezione prima. La tecnica con ultrasuoni, che oggi è oltre il 95% dei casi, è completamente affidabile nelle mani di un buon professionista e rimane il gold standard chirurgico.

Durata, anestesia e tempi di ripresa

A prescindere dalla tecnica, l’intervento viene eseguito in anestesia topica – salvo esigenze particolari – con somministrazione di collirio anestetico. Complessivamente l’operazione dura circa 15 minuti, non si avverte dolore, neanche nel post-operatorio, e si possono riprendere le normali attività entro 2-3 giorni. Di solito non ci sono punti di sutura da togliere. «All’IRCCS Policlinico San Donato, presso la nuova unità di Oculistica che offre prestazioni di eccellenza, siamo in grado di assicurare tempi di attesa molto ridotti, tramite la ottimizzazione delle procedure tra la diagnosi e l’inizio delle terapie», puntualizza il direttore. E nel giro di poche settimane si possono operare ambedue gli occhi per una riabilitazione visiva completa.

Il cristallino artificiale

La cataratta è una lente di messa a fuoco che si è opacata, e va quindi sostituita dopo la sua asportazione con un’altra lente di potere equivalente. La meraviglia della tecnologia è consentire di calcolare e scegliere questo potere per avere la messa a fuoco preferita dopo la chirurgia. I cristallini artificiali, in materiale plastico pieghevole, e assolutamente biocompatibile, vengono impiantati all’interno dell’occhio, proprio nella posizione originalmente occupata dal cristallino umano, durante l’intervento. La lente artificiale è perfettamente tollerata, non comporta fenomeni di rigetto, non subisce alterazione nell’arco della vita del paziente e non richiede alcuna “manutenzione” particolare.

Il cristallino monofocale

«L’altra faccia della medaglia è non recuperare la presbiopia, la flessibilità giovanile. Il cristallino monofocale, quello più diffuso in assoluto, mi fornisce un ottimo recupero, perfino senza occhiali per lontano, ma non ha la possibilità di mettere a fuoco ad ogni distanza. Di conseguenza avrò bisogno di occhiali per lettura e computer», continua Scialdone.

Il cristallino multifocale

Nel migliorare il recupero, la tecnologia è riuscita a realizzare cristallini multifocali, che consentono di compensare in una sola ottica varie distanze di messa a fuoco. «Una quindicina di anni fa le prime lenti di questo tipo erano bifocali: all’interno della parte ottica – cioè della parte centrale del cristallino – avevano una diottria diversa. Le persone potevano focalizzare a due distanze, di solito una lontana e l’altra a 25-30 centimetri» spiega lo specialista. Molta strada è stata fatta da allora e le innovazioni si sono differenziate e raffinate.
Oggi le tante multifocali disponibili si possono semplificare in due tipologie. «La multifocale in senso stretto, nelle quali l’ottica crea tre piani di messa a fuoco differenti, uno che consente una messa a fuoco da lontano, il secondo a circa 60 centimetri e il terzo da vicino, intorno ai 35 centimetri. Così si può avere una messa a fuoco quasi a qualsiasi distanza. L’altra categoria sono le EDOF: il fuoco di queste lenti viene “stirato” con una focalizzazione da lontano fino una sessantina di centimetri. Si rinuncia a qualcosa nel vicino, ma si amplia il numero di persone che possono godere dell’impianto. La disponibilità di lenti è più che ricca da coprire le caratteristiche individuali».

Le indicazioni dello specialista

Il ripristino della messa a fuoco e una ampia indipendenza dagli occhiali sono realizzabili con cristallino multifocale, che al Policlinico San Donato viene offerto a coloro che vengono per l’intervento, cogliendo l’occasione della chirurgia, vogliono ottenere di più, facendo una scelta che il sistema sanitario oggi non fornisce. «Per stabilire l’idoneità del paziente, lo specialista valuta una topografia corneale, un OCT retinico, altri parametri, come la centratura dell’occhio e l’asse visivo. Al termine di queste indagini, l’oculista consiglia se la persona è candidabile a questo tipo di impianto, consigliando lui la soluzione migliore anche in rapporto al suo stile di vita. È utile che l’intervento sia eseguito su entrambi gli occhi nella medesima seduta o a pochi giorni di distanza, in modo da facilitare l’adattamento neuronale visivo» conclude Scialdone.

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