No Taboo, Only Love: benvenuti in questo spazio intimo e accogliente, dedicato alla sessualità, alle problematiche ad essa correlate e al benessere di coppia. In questo podcast cerchiamo di rispondere, in maniera semplice e schietta, a tutte quelle domande che nessuno osa porre sul sesso perché considerate, ancora oggi, tabù. A dialogare con Chiara Caretoni, giornalista e conduttrice radiofonica, troviamo Gaia Polloni, psicologa, psicoterapeuta, sessuologa clinica ed esperta in andrologia e Andrea Cocci, specialista in urologia, andrologia e chirurgia robotica.
Nella puntata di oggi parliamo di tumore alla prostata e rapporti sessuali: in che modo la malattia impatta sulla sessualità della coppia?
In questo articolo
Tumore alla prostata: i fattori di rischio
Il tumore di prostata è una delle patologie oncologiche più frequenti a livello maschile ed è “età dipendente”. I fattori di rischio maggiore sono principalmente 3: il primo è l’età, più si va avanti e più c’è un’incidenza del tumore di prostata. L’età media di sviluppo va dai 65 ai 75 anni anche se purtroppo stiamo assistendo a comparse più giovanili. Dopo i 75 anni questo tumore si tende a non trattarlo più. Il secondo rischio è l’ereditarietà: una consanguineità con pazienti che hanno tumore di prostata aumenta nettamente la possibilità di sviluppo, anche giovanile. Il terzo fattore è la genetica: una mutazione di un particolare genere che si chiama BRCA1, cugino del tumore del seno, quindi chi ha questa mutazione ha un’alta percentuale di rischio di sviluppo di tumore alla prostata severi e precoci. Questi 3 sono i fattori di rischio principali poi, aspecifico, c’è sempre il fumo di sigaretta che è un cancerogeno comune.
È asintomatico o dà campanelli di allarme?
Il tumore di prostata è un tumore totalmente asintomatico finché é organo-confinato, cioè quando è all’interno della ghiandola prostatica. Quando invece comincia a dare una sintomatologia, vuol dire che già è extra prostatico e quindi già metastatico. Purtroppo da li il concetto della prevenzione: bisogna ricercare i tumori organo-confinati e aggredirli quanto prima.
Proteina PSA: è lei che individua il tumore
Il possibile tumore viene “screenato” con l’utilizzo di un esame del sangue, il PSA, che è una proteina specifica presente all’interno della prostata che, per curiosità, è la sostanza che rende liquido lo sperma. Quando il PSA è alto all’interno del sangue, vuol dire che la prostata non sta bene: per infiammazione, per infezione, per stimolazione ma anche per tumore. La differenza tra benigno e maligno è quando questa proteina, dosata nel tempo, è sempre in salita. L’urologo procederà prima con un’ispezione rettale, per sentire se la prostata presenta delle consistenze più dure. Se così fosse si proseguirà con il proporre la risonanza magnetica che, qualora desse un risultato oncologico, si procederà con la biopsia. Quest’ultima è l’unica a dare diagnosi di tumore alla prostata, dandogli poi un “nome e cognome”, considerando che vi sono molti sottotipi tumorali.
Tumore alla prostata e “fatigue”: la correlazione
La fatigue, dall’inglese “fatica”, è uno dei sintomi più comuni dei pazienti oncologici. Infatti si stima che circa il 65% di questi pazienti possa sperimentarla, a conseguenza di terapie oncologiche o espressione di un malessere interiore correlato alla patologia. Si tratta di una sensazione di spossatezza, stanchezza estrema (sia fisica che mentale) che spesso interferisce proprio con il funzionamento quotidiano, rendendo per il paziente impossibile svolgere le piccole attività. Il paziente è stanco, affaticato, svogliato, non ha le energie per fare nulla. Può essere acuta o cronica e può presentarsi in qualsiasi momento del percorso oncologico. Può comparire fin dalla diagnosi e perdurare a lungo oltre la fine delle cure. La fatigue può impattare e compromettere la vita del paziente a 360 gradi: dalla vita sociale, lavorativa a quella di coppia.
Affrontare la fatigue: mindfulness e yoga sono consigliati
Al di la del supporto farmacologico, uno dei modi migliori per affrontare la fatigue è proprio l’esercizio fisico, soprattutto quello aerobico. Oltre a migliorare la resistenza fisica, migliora anche l’umore. Dunque muoversi, compatibilmente con lo stato di salute del paziente, andare in bici, passeggiare, sono attività molto consigliate. Anche la psicoterapia può essere di grande supporto, così come praticare delle attività distensive come la mindfulness o lo yoga.
Per quanto riguarda la fatigue, la componente psicologica la fa da maggiore: quando si parla di tumore di prostata non accenniamo mai a quei tumori che non sono operabili o che, dopo l’operazione, mantengono una componente di tumore non asportabile. In questi pazienti bisogna attivare una somministrazione di farmaci che abbassano il testosterone. Il motivo è che il tumore di prostata è testosterone dipendente: meno testosterone c’è in circolo meno il tumore riuscirà a svilupparsi. Purtroppo abbassare bruscamente i livelli di questo ormone provoca una sorta di “menopausa” nell’uomo che porta a sbalzi di umore, crisi di pianto, abbassamento del tono dell’umore con una fatica cronica sperimentata dall’inizio del trattamento.
Tumore alla prostata: si può continuare a fare sesso?
Quando parliamo di rapporti sessuali bisogna fare una distinzione: il rapporto sessuale non è legato strettamente al concetto di erezione e penetrazione. Se si intende se dopo i trattamenti il paziente è in grado di avere un orgasmo alla stimolazione dei genitali, assolutamente si. Purtroppo però l’intervento chirurgico ha delle conseguenze: in primis un forte abbassamento della qualità dell’erezione se non proprio una totale impossibilità dello sviluppo della stessa, con conseguente blocco dell’espulsione di sperma. Questo perché si va a togliere la ghiandola che lo produce.
Purtroppo non tutti i pazienti sono in grado di recuperare spontaneamente l’erezione: alcuni avranno bisogno di assumere continuamente farmaci, altri invece di un intervento con un impianto di protesi. Per quanto riguarda invece la qualità dell’orgasmo non è assolutamente toccato. Molti pazienti però riferiscono che non eiaculare più porta ad un abbassamento del livello di piacere. Fa eccezione però i soliti pazienti che fanno una terapia ormonale: abbassando i livelli del testosterone vi è un calo drastico della libido e quindi non vi è proprio il desiderio di rapporti sessuali.
Disfunzione erettile e incontinenza: tutte possibili conseguenze del tumore di prostata.
L’intervento chirurgico ha come possibile complicanza, l’incontinenza urinaria. È completamente transitoria e si risolve tra 30 giorni a massimo 6 mesi post operatorio. Non si può negare che in tumori particolarmente aggressivi, dovendo subire operazioni complesse, vi sia la possibilità che ci sia un’incontinenza totale. Accade in una percentuale di pazienti molto bassa, tuttavia vi è una soluzione chirurgica: si passa da una protesi interna che va a ricostruire il muscolo e ridà al paziente la continenza. Dal punto di vista psicologico, invece, l’incontinenza può provocare un forte imbarazzo, anche perché da bambini trattenere l’urina è vista come una conquista, perciò perdere questa abilità può provocare vergogna o paura di creare disgusto nella partner. Ma se l’incontinenza, come dicevamo prima, è per la maggior parte dei casi transitoria, la disfunzione erettile viene vista invece come una perdita di potenza sessuale.
Se il paziente ha un* partner, è ideale affrontare questa difficoltà in un test di coppia. La ricerca ci riporta di come il supporto emotivo della partner correli con outcome terapeutici positivi. Fondamentale che la partner venga coinvolta e partecipi attivamente durante tutto il percorso terapeutico, dalla diagnosi alla riabilitazione post operatoria. Durante la terapia il sessuale cercherà di aiutare la coppia ad esprimere i propri bisogno emotivi e ad accogliere e legittimare quelli dell’altro. Cercherà di promuovere un clima cooperativo, lavorando sulla comunicazione di coppia e dei singoli, con l’obiettivo di arricchire il panorama sessuale.
In che modo si può curare il tumore alla prostata?
Le opzioni terapeutiche oggi dipendono da vari fattori: in primis dall’età del paziente, in seconda battuta dal tipo di tumore e infine dal fatto che il tumore sia organo-confinato oppure no. A seconda di questi 3 fattori il paziente può: sorvegliare il tumore, monitorando il TSA e saltuariamente facendo una biopsia. Questo è un programma che si riserva a pazienti con tumori decisamente poco aggressivi. Se saliamo nell’aggressività è possibile fare terapie cosiddette focali: bruciare soltanto il tumore all’interno della prostata con particolari macchinari. La maggior parte dei tumori, tuttavia, si cura con l’intervento robotico endoscopico, in cui si va ad esportare totalmente la prostata e le vesciche. È un intervento sicuro per il paziente ed ha una percentuale di oltre il 90% di risoluzione completa della patologia oncologica. I pazienti che purtroppo non possono essere operati, si procede con delle cure palliative che tentano di arginare il tumore ma non di curarlo. Questi sono la radioterapia e l’ormonoterapia.
Le dimensioni e le forme del pene possono subire dei cambiamenti in seguito alle cure?
Per quanto ci sia questo mito, il pene non è un muscolo. È composto da un materiale organico composito, che viene formato, intrecciato e allungato dalla presenza delle fisiologiche erezioni durante la giornata e soprattutto dalle famosi erezioni notturne. Queste continue erezioni distendono, rendono morbido e ampio il materiale da cui è formato il pene. Dopo gli interventi in cui si crea la disfunzione erettile o dopo quei farmaci che vanno ad abbassare il testosterone, i pazienti non hanno più queste erezioni: questa sedentarietà del pene ne provoca una fibrosi. Il tessuto diventa più duro, meno distensibile, pertanto la normale conseguenza è l’accorciamento del pene.
Una diminuzione delle dimensioni peniene può rappresentare per alcuni uomini un vero problema. Può essere vissuta come una perdita della propria mascolinità: l’uomo potrebbe sentirsi meno potente, non in grado di soddisfare la propria partner e quindi tradito. È importante rassicurare il paziente circa queste preoccupazioni: la letteratura scientifica ha ampiamente dimostrato quanto le dimensioni peniene, soprattutto la lunghezza, non siano correlate al piacere femminile. D’altro canto però spesso le partner non sanno come rassicurare il proprio partner e per evitare ogni approccio sbagliato, lo evitano del tutto. Questi vissuti però dovrebbero essere affrontati attraverso un percorso di psicoterapia di coppia.