Quando, quasi 50 anni fa, scelse di occuparsi dei malati di tumore i suoi maestri e i suoi colleghi lo bollarono come pazzoCome un sognatore in camice bianco destinato, nella sua vita professionale, a raccogliere solo drammi umani, frustrazioni e delusioni scientifiche. Umberto Veronesi non ascoltò nessuno e andò avanti per la sua strada. Da vero pazzo, appunto. Non è facile, oggi, pensare che la carriera del professore sia iniziata così.
Oggi che si festeggiano i trent’anni dalla pubblicazione, sulla rivista scientifica New England journal of medicine, della ricerca, firmata Veronesi, che ha rivoluzionato l’oncologia mondiale. La messa a punto di un intervento chirurgico non invasivo per le donne con cancro al seno. La quadrantectomia, ormai adottata in tutto il mondo. Apriva un’era nuova.
Domanda. La ricerca venne pubblica nell’81 ma lei ci lavorava almeno da dieci anni. Era l’epoca in cui non si nominava neppure la parola cancro, vero?
Risposta. Era il fatalismo a guidare il senso comune nei confronti dei cancro. Che venne definito male incurabile, appunto. Io mi incaponii a cercare una metodica chirurgica che salvasse le donne e, al tempo stesso, rispettasse la loro persona.
D. Che voleva dire non asportare il seno per intero?
R. Certo. Voleva dire intervenire solo in un settore, quello in cui si annida la neoplasia.
D. Fino ad allora interventi demolitivi, faticosi da sopportare? Sono state le stesse pazienti a spingerla a lottare contro chi aveva dubbi sulla sua ricerca?
R. Mi hanno aiutato ad andare avanti. Volevo lottare contro il male ma volevo anche salvaguardare la qualità della vita. Pensavo al dopo malattia. Convinto, con me erano in pochi, che il dopo ci sarebbe stato.
D. Si riferisce ad un fatto estetico?
R. Non solo. La conoscenza del vasto pubblico della nuova tecnica ha avuto un’azione profonda sulla guaribilità della malattia.
D. Che cosa significa?
R. Il sapere che si era arrivati a un intervento conservativo spinse le donne a sottoporsi alle visite. I tumori cominciarono ad essere scoperti in fase sempre più iniziale.
D. Con effetti anche sulla guarigione?
R. Quaranta anni fa guariva solo il 40% delle donne malate, oggi siamo arrivati all’85%. Più di un terzo, inoltre arriva alla diagnosi con lesioni così piccole che, teoricamente, potrebbero guarire nella quasi totalità dei casi. Va ricordato che quello del seno è il tumore verso il quale si sono ottenuti i risultati più importanti.
D. È ragionevole aspettarsi una simile progressione anche nei prossimi anni?
R. È ragionevole. Chirurgia e radioterapia continueranno nel segno della conservazione utilizzando tecniche radioguidate e la radioterapia intraoperatoria. Quando arriveremo a intercettare la maggioranza delle lesioni impalpabili la chirurgia lascerà spazio a tecniche già in sperimentazione.
D. Parla di farmaci o tecniche chirurgiche?
R. Parlo dei fasci di protoni, ioni di carbonio e gli ultrasuoni. Ci attendiamo molto anche dalla ricerca, si tratta di un test del sangue, di frammenti di geni alterati che ci permetteranno di agire sul tumore prima che sia un nodulo millimetrico rilevabile da qualsiasi apparecchio diagnostico.
D. L’obiettivo finale?
R. Rendere il tumore del seno una malattia a mortalità zero.
D. Ma purtroppo contiamo ancora oltre 40mila diagnosi ogni anno in Italia. La paura alimenta ansia, anche se i numeri che lei ci dice dovrebbero rassicurare. Che ne pensa?
R. Una donna su 8-9 viene colpita dal cancro al seno. È chiaro che fa paura. Ricordiamo il valore simbolico del seno, rappresenta il segno della femminilità. Per questo dico sempre che questo tipo di tumore va tolto dal corpo ma anche dalla mente. Ma va avvicinato, pensato, combattuto.
D. Si riferisce agli esami di controllo?
R. Ogni anno nel nostro paese gli screening mammografici fanno scoprire 6mila tumori.
D. Quando iniziare a controllarsi?
R. Tra i 20 e i 40 anni generalmente non sono previsti esami particolari se non una visita dal ginecologo o da un medico esperto. Solo in situazioni particolari, parlo di familiarità o scoperta di un nodulo, è opportuno fare degli approfondimenti.
D. E l’autopalpazione?
R. A partire dai venti anni è il primo strumento di prevenzione.