Commento di Umberto Veronesi
sul blog della FONDAZIONE UMBERTO VERONESI
Ho sempre pensato che le donne, qualunque lavoro facciano, abbiano saldamente in mano l’idea che il loro interlocutore è una persona. Anche l’impiegata più frettolosa e nervosa trova quasi sempre una parola gentile. Adesso un giudice donna, il giudice tutelare di Treviso Clarice Di Tullio, ha avuto l’umanità e la comprensione per autorizzare un’altra donna, testimone di Geova e gravemente ammalata di una malattia degenerativa, a non utilizzare farmaci e trattamenti salvavita (leggi).
[…] Ha avuto quella particolare intelligenza del cuore necessaria a capire e ad accogliere la semplicissima richiesta dell’ammalata, la quale, esprimendo fiducia nei medici curanti, ha detto: «Non voglio che la mia vita venga prolungata se i medici sono ragionevolmente certi che le mie condizioni sono senza speranza». Non ha chiesto l’eutanasia, ha chiesto di essere lasciata al corso della morte, senza interventi che prolungherebbero inutilmente la vita.È proprio quello che il nostro Parlamento non vuole fare, e che in 17 anni di discussioni ha portato avanti, con evidente malafede, l’equivoco che il diritto del malato a rifiutare le cure inutili coincida con l’eutanasia. Se la legge dovesse passare in questi termini, io sono più che certo che la Consulta la giudicherà anticostituzionale. Voglio ricordare qui l’articolo 13 della Costituzione sull’inviolabilità della libertà personale, e voglio dire di più: i malati impossibilitati a guarire, destinati alla morte alla fine di un peggioramento progressivo e irreversibile, non possono essere «costretti» a cure inutili.
[…] Per concludere, dirò una cosa oltranzista che non ho mai detto prima d’ora: ammalati che rivendicate il vostro diritto alla morte naturale, se verrà approvata una legge disumana, fuggite dagli ospedali. Esiste l’istituto delle dimissioni firmate, che possono essere firmate anche dai parenti. Andate via, tornate a casa. Lo Stato non vi può inseguire fin lì.Umberto Veronesi