C’è chi ha paragonato la corsa al vaccino anti Covid con la corsa alla conquista dello spazio durante la Guerra Fredda. Con la differenza che, mentre a sfidarsi in quegli anni erano solo Stati Uniti e Unione Sovietica, oggi nella gara per trovare l’antidoto alla pandemia di Covid-19 stanno correndo un po’ tutti gli Stati economicamente e scientificamente solidi, Italia compresa. Da una parte all’altra del pianeta si stanno investendo ingenti somme di denaro per arrivare a un vaccino in tempi record. Come riporta l’Istituto superiore di sanità (Iss), i primi Paesi coinvolti per numero di studi sono Cina, Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Canada e Australia.
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Il vaccino anti Covid ha anche un valore politico
E in alcuni di loro, come gli Usa di Donald Trump, la vaccinazione sta assumendo anche un valore politico. «In autunno ci saranno le elezioni e il presidente americano non sta passando un periodo di grande popolarità. Ha lanciato un’operazione chiamata Objective Warp Speed, una collaborazione tra pubblico e privato, per stimolare il finanziamento di diverse compagnie farmaceutiche. L’obiettivo è produrre milioni di dosi di vaccino da distribuire entro la fine dell’anno. Politicamente sarebbe una mossa molto forte». A parlare è Guido Forni, membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei e già professore di immunologia all’Università di Torino. Insieme ad Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas, Lorenzo Moretta, presidente dell’European Federation of Immunological Societes, e Giovanni Rezza, dirigente di ricerca dell’Iss, ha curato la pubblicazione del libro I vaccini fanno bene. Perché dobbiamo credere nella scienza per difenderci da virus e batteri (La nave di Teseo).
Non solo Covid. Le minacce sono continue
«Siamo disarmati di fronte a questa nuova minaccia», scrive Mantovani nella prefazione del volume. «Non sappiamo ancora come il virus interagisca con il sistema immunitario. Abbiamo pochi strumenti farmacologici per combatterlo. Soprattutto non possiamo disporre di un vaccino efficace». La storia si ripete. Durante l’infuriare di un’epidemia, come quelle di meningite, colera, Sars, Ebola o Zika si discute su come il mondo debba essere meglio preparato per combattere le future minacce. «Ci ricordiamo dell’importanza di un vaccino quando ci manca, come in questo caso», conclude il direttore scientifico di Humanitas.
Il mondo ragiona già su altre possibili pandemie
Prevedere quale virus avrebbe provocato questa pandemia e individuare quello che scatenerà la prossima sembra impossibile. In realtà però ci sono scienziati che studiano queste possibilità da anni e compilano lunghe liste di microrganismi sospettati. Sono state queste previsioni a convincere il World Economy Forum a Davos nel 2017 a lanciare la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi). Si tratta di un’organizzazione non profit. «Il suo scopo è di favorire lo sviluppo e lo stoccaggio di vaccino contro quegli agenti patogeni che potrebbero causare nuove spaventose epidemie. Una quantità notevole di fondi è stata versata dalla Bill & Melinda Gates Foundation, dal Wellcome Trust e dai governi della Norvegia, Germania e Giappone», racconta Forni. Purtroppo, il SARS-Cov-2 non poteva essere in quella lista.
Vaccino anti Covid: i tentativi già in fase clinica
Oggi le aziende che stanno cercando di trovare una soluzione vaccinale alla pandemia di Covid-19 sono tante. In totale i gruppi di lavoro sono più 160, di cui almeno quattro (nel momento in cui è scritto l’articolo) sono entrati nella fase clinica: AstraZeneca, Moderna, BioNTech/Pfizer e CanSino. Il primo è il vaccino su cui ha scommesso l’Italia, prenotando 400 milioni di dosi insieme a Francia, Germania, Olanda. «Insieme agli altri Paesi europei siamo impegnati in ulteriori negoziazioni». Walter Ricciardi è professore di Igiene all’Università Cattolica di Roma e consigliere del ministro della Salute, Roberto Speranza, per l’emergenza Covid 19. «Ma tutte queste aziende sono in ritardo rispetto ad AstraZeneca e alla sua sperimentazione italo-inglese in corso tra Oxford e Pomezia. È ancora presto per saperlo, ma se dovesse andare tutto bene speriamo di avere le prime dosi alla fine dell’anno o all’inizio del 2021».
All’inizio si penserà ai più fragili
Come piano di somministrazione, Ricciardi conferma la priorità delle fasce di popolazione più deboli ed esposte al rischio contagio. «Le prime dosi saranno limitate e vogliamo indirizzarle al personale medico esposto, a quello di pubblica utilità, come vigili del fuoco e polizia, e alle persone più fragili e vulnerabili». Ma lo scopo di un vaccino è quello di debellare l’infezione e per riuscirci deve essere somministrato alla maggior parte delle persone. «All’inizio sarà un vaccino pandemico, con lo scopo di limitare la pandemia. Poi quando aumenteranno le dosi diventerà un vaccino “normale” e sarà rivolto a tutti».
Vaccino anti Covid: velocità ed efficacia
In condizioni di normalità – quindi prima che scoppiasse la pandemia – non erano in tanti a investire nel campo dei vaccini. Anzi. «In genere le case farmaceutiche sono restie ad avviare sperimentazioni sui nuovi vaccini. Per loro spesso sono un pessimo affare perché devono spendere tanto per il loro sviluppo mentre il successo e il ritorno economico sono molto incerti».
È il motivo per cui le aziende hanno chiesto ai governi di pagare in anticipo le dosi che saranno prodotte se la sperimentazione andrà a buon fine. Da parte loro i governi hanno chiesto alle farmaceutiche dei risultati positivi almeno nelle fasi preliminari dei test. Nella sperimentazione attuale si scontrano due aspetti: velocità ed efficacia. La prima è importante, però è la seconda a rendere vincente un vaccino. Le aziende lo sanno, ma in questo periodo bisogna fare i conti con la vita delle persone.
Bisogna correre
«È probabile che il primo vaccino che arriverà non sarà il più efficace; l’importante, ovviamente, è che sia sicuro e non presenti effetti collaterali», dice Forni. «Una parte della popolazione è già molto sospettosa nei confronti dei vaccini in generale, quindi è fondamentale che il prodotto offerto da quel punto di vista sia ineccepibile». Un rischio, sottolinea Ricciardi, che non corriamo. «Le autorità che regolano l’immissione dei farmaci in commercio, quindi l’European Medicines Agency in Europa e la Food and Drugs Administration in America, testano sempre la sicurezza di un medicinale prima di dare il loro benestare».
Vaccino anti Covid: il bersaglio è la proteina Spike
L’obiettivo principale del futuro scudo anticoronavirus, come quello di tutti i vaccini è di istruire il sistema immunitario contro uno specifico nemico, preparando una risposta che l’organismo manterrà in memoria. In questo modo, non appena si dovesse presentare quell’agente patogeno, la reazione immunitaria sarà già pronta. I metodi per istruire le nostre difese naturali possono essere diversi, ma il principio alla base è sempre lo stesso. Bisogna fornire qualcosa che somigli all’intruso quanto basta per indurre una reazione senza innescare i sintomi della malattia. Per questo i vaccini sono tanto più efficaci quanto meno l’agente patogeno cambia (i medici dicono muta). Questo è il motivo per cui ogni anno bisogna rifare la vaccinazione antinfluenzale. Nel caso del Covid-19, lo scopo è indurre lo sviluppo di anticorpi contro la proteina spike del coronavirus. Le strade che i centri di ricerca stanno percorrendo per farlo sono tre:
- iniettare direttamente la proteina;
- oppure iniettare le istruzioni per insegnare alle cellule umane a produrre la spike (si fa tramite pezzettini di Dna oppure Rna che codificano le proteine del virus);
- o anche iniettare un vettore virale innocuo contenente queste istruzioni.
Cosa stanno scegliendo le aziende farmaceutiche coinvolte?
La prima strategia è quella che stanno seguendo ad esempio la francese Sanofi, in collaborazione con la Gsk, e i ricercatori dell’università statunitense di Pittsburgh, che stanno utilizzando un approccio innovativo. «Si tratta di un cerotto delle dimensione di un polpastrello con 400 minuscoli aghi che somministrano la spike attraverso la cute, dove la reazione immunitaria è più forte». Andrea Gambotto è professore associato di chirurgia alla Pitt School of Medicine, Università di Pittsburgh, e co-autore senior della ricerca sul vaccino. La seconda strategia, invece, è perseguita dall’americana Moderna – una delle più avanti nelle sperimentazioni cliniche. La terza dalla cinese CanSino, dalla statunitense Johnson&Johnson e dai ricercatori che stanno lavorando al vaccino che arriverà in Italia, cioè quelli dello Jenner Institute di Oxford in collaborazione con il Campus Irbm di Pomezia.
Vaccino anti Covid: cosa c’entra l’adenovirus degli scimpanzé?
La peculiarità della sperimentazione italo-inglese è che il vettore virale utilizzato per trasportare le informazioni necessarie a produrre la proteina spike nel nostro organismo è un adenovirus di scimpanzé. «Il rischio di impiegare un adenovirus umano è che una percentuale di persone ne siano già entrate in contatto e ne abbiano quindi sviluppato degli anticorpi», chiarisce l’immunologo. «Non possiamo permetterci di creare un vaccino contenente un virus contro cui parte della popolazione ha già delle difese che rischierebbero di vanificarne l’effetto. Da qui l’idea dell’adenovirus di scimmia, con cui nessuno di noi può essere mai entrato in contatto».
Vaccino sperimentale o innovativo
In generale, le tecniche sperimentate per la formulazione di un vaccino si possono dividere in due schieramenti: tradizionali e innovative. «Le aziende cinesi, tra la prima e la seconda strategia, stanno privilegiando strade tradizionali, quindi già sperimentate in vaccini precedenti», continua Forni. «Gli americani, invece, stanno puntando prevalentemente su strategie nuove. Sono più veloci da mettere a punto, ma poco testate sull’uomo in modo approfondito. Sono quelle che utilizzano pezzettini di Dna o Rna, che stimolano il nostro organismo a produrre la proteina contro cui indurre la risposta immunitaria». A logica verrebbe da pensare che la strada americana sia la più complessa, ma tecnicamente, sottolinea l’esperto, «è invece la più semplice. Lavorare con sequenze genomiche è meno difficile che farlo con proteine e vettori virali. Inoltre ci si aspettano meno effetti collaterali se è l’organismo a produrre la proteina».
Difficile il confronto
Per valutare l’efficacia di un vaccino si possono considerare diversi aspetti:
- prevenzione della malattia,
- riduzione dei sintomi gravi,
- protezione totale o parziale della popolazione,
- assenza di effetti collaterali.
Per quanto riguarda quello contro il coronavirus, non sappiamo che tipo di prodotto arriverà e quale sarà migliore degli altri. «L’Organizzazione mondiale della sanità sta cercando di imbastire uno studio di confronto. Lo farà non appena le prime dosi inizieranno a essere disponibili, ma per farlo ha bisogno della collaborazione delle compagnie farmaceutiche», conclude Forni. «E da quando Trump ha deciso di togliere il suo appoggio all’Oms, le aziende statunitensi sono restie a partecipare a studi del genere. Un peccato, perché rappresentano una parte consistente della ricerca e così facendo rendono il progetto irrealizzabile».
Vaccino anti Covid: le fasi di sviluppo
Lo sviluppo di un vaccino è un processo lungo ed elaborato che parte dalla conoscenza del microrganismo responsabile della malattia che si intende prevenire e delle sue modalità di interazione con l’organismo umano. Di seguito, la sequenza di studi necessari.
- Studi sperimentali in vitro: stabiliscono quale sia la composizione qualitativa e quantitativa ideale di un vaccino;
- Sperimentazione pre-clinica: questa parte include sia studi in vitro sia studi su modelli animali attraverso i quali si definiscono il meccanismo d’azione, il profilo tossicologico e le prime evidenze di efficacia e sicurezza su un organismo vivente complesso.
- Sperimentazione clinica: il vaccino entra nel percorso di sperimentazione clinica che può realizzarsi in quattro fasi. Le prime tre precedono l’autorizzazione all’immissione in commercio e la quarta viene condotta quando il vaccino è già disponibile sul mercato.
● POSOLOGIA
Durante le prime tre fasi della sperimentazione clinica viene progressivamente:
- aumentata la popolazione trattata con il vaccino,
- definita la sua posologia (il numero di dosi per l’immunizzazione primaria ed eventuale richiamo),
- la sua efficacia (la capacità di stimolare nell’uomo una risposta anticorpale specifica e sufficiente contro le componenti del vaccino),
- la sua sicurezza (il tipo e la frequenza con cui si manifestano eventuali reazioni avverse).
Questi ultimi due aspetti vengono indagati soprattutto negli studi clinici di fase terza, condotti su popolazioni molto ampie di soggetti a cui sarà destinato il vaccino. Gli studi di fase terza sono:
- controllati, dal momento che i soggetti trattati con il vaccino in studio sono confrontati con altrettanti soggetti trattati con un vaccino simile già autorizzato o con un trattamento inerte (placebo);
- randomizzati, dal momento che la suddivisione dei soggetti fra l’uno e l’altro trattamento avviene in maniera casuale.
● DOPO LA COMMERCIALIZZAZIONE
Della quarta fase, invece, fanno parte gli studi condotti dopo la commercializzazione. Hanno l’obiettivo di verificare l’efficacia e la sicurezza del vaccino nelle sue reali condizioni d’uso. Valutano anche l’utilizzo in particolari sottogruppi di popolazioni e condizioni patologiche. Per esempio, in corso di malattie del sistema immunitario che potrebbero modificare l’efficacia e la sicurezza del vaccino (Fonte: Agenzia Italiana del Farmaco).