Il futuro è qui, ora. Sì perché oggi, nelle strutture che hanno fatto dell’innovazione tecnologica un modello d’eccellenza da esportare e copiare anche all’estero, la robotica si è già imposta con successo in molteplici branche della chirurgia. Alle imprescindibili abilità umane si affiancano quelle eccezionali del robot, che diventa a tutti gli effetti un alleato esperto ed estremamente affidabile dello specialista, con il quale raggiunge una piena sinergia in sala operatoria.
«È proprio grazie alla fusione di queste competenze che negli ultimi anni si è passati da una terapia generalizzata a una tailored-therapy, cioè cucita sul paziente. Infatti oggi non siamo solo in grado di raggiungere un risultato clinico funzionale ma, sfruttando ciò che la tecnologia ci mette a disposizione, possiamo anche rispondere al meglio alle esigenze personali del singolo. Queste potenzialità sono particolarmente evidenti in ambito uro-andrologico, dove il robot viene spesso utilizzato, ad esempio, nei casi di ipertrofia prostatica benigna» interviene Andrea Cocci, specialista in urologia e andrologia.
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Cos’è l’ipertrofia prostatica e quali sintomi può dare?
Per ipertrofia prostatica benigna si intende un ingrossamento benigno e fisiologico della prostata, la ghiandola posta al di sotto della vescica e responsabile della produzione di liquido prostatico, che aumenta la motilità degli spermatozoi, contribuendo alla loro maggior sopravvivenza, e fluidifica il liquido seminale. «Dopo i 45-50 anni quasi tutti gli uomini vanno incontro a questo processo, che appunto è naturale, ma solo il 30% di essi manifesta dei sintomi. Ciò accade fondamentalmente perché la prostata ingrossata comprime l’uretra, cioè il canale che dalla vescica porta fuori l’urina, intorno alla quale è posizionata. Più la ghiandola prostatica aumenta di volume e minore è il calibro dell’uretra, che va man mano restringendosi. In questo modo la vescica è costretta a un eccesso di lavoro per espellere la pipì e, a sua volta, l’uretra fa fatica a farla defluire verso l’esterno: questi problemi si riflettono nello stimolo impellente a urinare sia di giorno sia di notte e nella difficoltà, o addirittura impossibilità, a svuotare la vescica. Nei casi più estremi si possono verificare anche disturbi di disfunzione erettile» continua Cocci. L’ipertrofia prostatica benigna, dunque, non provoca necessariamente sintomi ma quando questi si manifestano variano da persona a persona, tanto che anche il trattamento proposto non è per tutti i pazienti il medesimo.
La terapia farmacologica, l’intervento chirurgico Turp e i laser possono causare la perdita dell’eiaculazione
Oltre ai doverosi cambiamenti nello stile di vita, che impongono una corretta alimentazione, un’adeguata attività fisica e un divieto assoluto di fumare, in prima battuta si opta per una terapia farmacologica, a base di inibitori della 5-alfa-reduttasi o alfa bloccanti. «Spesso, però, questi farmaci presentano effetti collaterali estremamente impattanti sulla qualità della vita del paziente, come ad esempio la perdita dell’eiaculazione. Non solo: nel 30% dei casi la terapia medica, che ha lo scopo di ridurre la sintomatologia, non dà gli esiti sperati» prosegue Cocci. Dunque se questo trattamento farmacologico non funziona o non è gradito dal paziente è necessario procedere con la chirurgia, con la quale si rimuove il tessuto in eccesso che aumenta il volume della prostata.
«Gli interventi standard – dalla storica resezione endoscopica della prostata (Turp) ai più recenti laser – sono in grado di portare l’uomo a una condizione prostatica normale ma presentano anch’essi il forte limite di ridurre la capacità erettiva del pene, con conseguente perdita dell’eiaculazione» spiega lo specialista. Un problema tanto sentito, soprattutto dai pazienti più giovani, che spesso si rinuncia a curare l’ipertrofia prostatica pur di non incappare in problematiche sessuali.
Tecnologia Rezum, ideale per chi ha prostate meno ingrossate e pochi sintomi
Oggi, fortunatamente, possiamo contare su tecniche ancor più sofisticate delle precedenti, che consentono non solo di essere mininvasivi, efficaci e rapidi ma anche di andare incontro alle esigenze personali dell’uomo. Le innovazioni, in questo senso, sono principalmente due. «La prima è la tecnologia Rezum che permette, attraverso l’infiltrazione di vapore per mezzo di una sonda inserita nel pene, di sclerotizzare il tessuto prostatico in eccesso, riducendo così il volume della ghiandola. Questa tecnica, però, può essere utilizzata solo in quei pazienti che presentano prostate di minori dimensioni e non manifestano sintomi importanti» spiega Cocci.
La vera svolta per il trattamento dell’ipertrofia prostatica è costituita dal sistema robotico Aquabeam Waterject
L’altra novità, ancor più interessante perché applicabile in quasi la totalità dei casi (98%), è la resezione del tessuto prostatico a mezzo robotico con acqua fredda. «La tecnologia, una delle più brillanti innovazioni in questo ambito, si chiama Acquabeam Waterject. Questo sistema consente innanzitutto di evidenziare perfettamente, attraverso un’ecografia istantanea, la porzione di prostata da rimuovere e di pianificare così l’intervento eseguito dal robot in sinergia con il chirurgo. La rimozione vera e propria avviene tramite un getto d’acqua, che fuoriesce da una sonda inserita nel pene e collegata al braccio robotico, ed è supervisionata dallo specialista che gestisce console e pedaliera. Questa procedura è rapidissima, tanto che anche le prostate di grandi dimensioni possono essere trattate in 7-8 minuti, non prevede incisioni chirurgiche di alcun tipo e, eliminando solo la porzione di prostata prestabilita, non intacca assolutamente le strutture adibite alla continenza e all’eiaculazione» puntualizza lo specialista in urologia e andrologia.
Qual è il post-operatorio dopo questi interventi?
«Per quanto riguarda i pazienti operati con tecnica Acquabeam Waterject, è necessario un ricovero di circa 3 giorni, durante i quali non si avvertono dolore né fastidio. In questo lasso di tempo ci si può sedere, sdraiare e passeggiare e bisogna assumere i farmaci antibiotici prescritti dallo specialista. Trascorso questo tempo, l’uomo può tornare a casa, privo di catetere, e può notare fin da subito un beneficio immediato nella minzione. Per i pazienti operati con tecnica Rezum, invece, si può fare rientro a casa il giorno stesso dell’intervento purché si indossi un catetere vescicale, che va tenuto alcuni giorni, e si assuma contemporaneamente alcuni farmaci antibiotici e antinfiammatori. Alla rimozione del catetere il paziente nota un miglioramento del flusso, che tuttavia torna a essere normale dopo circa 3 mesi. In entrambi i casi l’attività sessuale può essere ripresa dopo 3-4 settimane, senza alcun tipo di fastidio né dolore» conclude Cocci.
A cura di OK Promotion