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Protesi del futuro: mani e piedi saranno in grado di percepire il tatto

Arti protesici collegati al cervello in grado di "imitare" le cellule sensoriali del piede possono restituire alle persone senza un arto delle sensazioni naturali

Le protesi del futuro? Permetteranno di percepire la consistenza del terreno, il calore di un tazza, il freddo dell’acqua. È la direzione in cui viaggia la ricerca più innovativa in ambito di arti protesici. Perché le persone che nascono amputate, oppure che per traumi o motivi di salute perdono una mano o una gamba, non solo non hanno la possibilità di afferrare gli oggetti o di camminare, ma sono anche prive del tatto. Le protesi al momento sono capaci di restituire il controllo motorio, ma da qualche anno sono in studio delle soluzioni hi-tech collegate al sistema nervoso, in grado di ripristinare anche la sensibilità.

Protesi del futuro: l’esperimento di Zurigo

Un risultato promettente arriva dal laboratorio di neuroingegneria del Politecnico di Zurigo. Qui un team di ricercatori ha creato una connessione tra cervello e protesi robotica per fornire sensazioni più naturali agli amputati mentre camminano. A differenza delle tecnologie attualmente disponibili, che si limitano a sostenere, gli scienziati svizzeri hanno collegato le protesi al nervo sciatico del moncone della coscia per mezzo di elettrodi impiantati a livello cerebrale.

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Questo ha permesso alle neuroprotesi di trasmettere informazioni al cervello, ad esempio sul carico di pressione che cambia costantemente sulla suola quando si cammina, regalando alle persone amputate una sensazione più realistica. Ma ha anche permesso loro di camminare più velocemente su superfici difficili, di avere maggiore fiducia nei confronti della parte del corpo “estranea” e di commettere meno errori quando hanno cercato di sillabare parole al contrario mentre salivano le scale. Questo perché, dovendo concentrarsi meno sul movimento del piede grazie alla maggiore naturalità del gesto, erano più liberi di pensare ad altro.

I risultati dello studio, condotto su tre persone e pubblicato lo scorso 20 febbraio su Nature Communications, pongono le basi per le protesi del futuro. Potrebbero infatti contribuire a riprodurre sensazioni più realistiche negli individui amputati, anche se evocare un’esperienza simile al tatto, la percezione del terreno, del freddo, del caldo, proprio come succede quando si tocca un oggetto o si appoggia il piede per terra, è molto impegnativo. Per capire come riuscirci, i ricercatori svizzeri hanno guardato alla natura, e si sono affidati alla neurostimolazione biomimetica.

Che cos’è la biomimetica?

La biomimetica è il termine con cui si descrivono le tecnologie ispirate a soluzioni trovate in natura da piante e animali. Per fare qualche esempio, nel 1851, l’architetto Joseph Paxton, per costruire il Crystal Palace in occasione del primo Expo a Londra, imitò le costole di cellulosa di una pianta che conferivano alle sue foglie una capacità di resistenza tale da poter sorreggere una persona di 130 chili. Fu replicando lo stesso disegno geometrico a coste flessibili, che Paxton concepì la struttura del palazzo londinese.

Analogamente, il velcro fu inventato negli anni Quaranta dall’ingegnere svizzero George de Mestral, dopo anni di studi sui semi di bardana, forniti di minuscoli uncini che permettevano loro di rimanere attaccati ai tessuti. Ma ancora il sonar e il radar sono entrambe tecnologie che imitano l’apparato di geolocalizzazione del pipistrello.

Le protesi imitano le cellule del piede

Per ricreare la sensazione del piede che poggia per terra, i ricercatori hanno creato un modello al computer chiamato FootSim. Questo modello permette di inviare dei segnali (dalla protesi al cervello) che imitano il comportamento di alcune cellule sensoriali presenti nella pianta del piede, note come meccanorecettori, riproducendo il loro comportamento dinamico.

Dal momento in cui il piede tocca il suolo con il tallone fino a quando si stacca per il passo successivo, calcolando i segnali nervosi che dalla pianta risalgono la gamba verso il cervello. «Dobbiamo imparare il linguaggio del sistema nervoso», ha affermato Stanisa Raspopovic, lo scienziato che ha guidato il gruppo di ricerca. «Così potremo comunicare con il cervello in modo che ci capisca bene».

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Giulia Masoero Regis

Giornalista pubblicista, collabora con OK Salute e Benessere, sito e giornale, e altre testate di divulgazione scientifica. Laureata in Scienze Politiche, Economiche e Sociali all'Università degli Studi di Milano, nel 2017 ha vinto il Premio Giornalistico SID – Società Italiana di Diabetologia “Il diabete sui media”; nel 2018 il Premio DivulgScience nel corso della XII edizione di NutriMI – Forum di Nutrizione Pratica e nel 2021 il Premio giornalistico Lattendibile, di Assolatte, nella Categoria "Salute". Dal 2023 fa parte del comitato scientifico dell’associazione Telefono Amico Italia.
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