Post di Cristina Morganti-Kossmann, professore associato
di neuroscienza alla Monash University di Victoria (Australia)
La dottoressa Baek Sung-hee, professore di Scienze biologiche all’Università di Seoul ha recentemente ricevuto un premio prestigioso da Korea L’Oreal-UNESCO Awards for Women in Life Science. Fondata nel 1998, quest’organizzazione ha lo scopo di promuovere il successo delle donne di tutte le nazioni nella carriera scientifica e annualmente distribuisce numerose borse di studio e premi per il riconoscimento di significative scoperte scientifiche.
La dottoressa Baek ha dichiarato, nel suo discorso di ringraziamento, che il numero di donne impegnate nel mondo della ricerca scientifica è insufficiente. “Il rapporto uomini–donne è quasi pari durante le fasi iniziali di studio universitario, ma nel periodo successivo alla laurea e al PhD solo una donna su cinque prosegue la carriera di ricercatrice”.
Inoltre Baek ha invitato le donne “ad avere fiducia in se stesse, e a proseguire gli studi indipendentemente da qualsiasi fattore esterno”.
Nel 2005, la dottoressa è stata uno dei primi ricercatori al mondo ad individuare e caratterizzare la funzione di un gene coinvolto nel meccanismo di metastasi di cellule cancerose: il cancer metastasis suppressor gene KAI-1. Grazie a questa scoperta, che attualmente contribuisce allo sviluppo di nuove terapie per combattere il cancro, la dottoressa Baek ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali.
In un commento postato su Facebook nella pagina ufficiale della L’Oreal-UNESCO Women in Life Science, la International Council of Women, aggiunge che in molti paesi del mondo il numero di studentesse supera di netto il numero di studenti uomini, ma similmente alla Korea, il numero di donne diminuisce in modo drammatico nelle fasi successive di carriera di ricercatore. Alcune donne dichiarano che le ricercatrici sono vittime di ‘segregazione verticale’ nel processo di selezione, ma senz’altro molti fattori contribuiscono a questo fenomeno diffuso a livello internazionale. Innanzi tutto la scelta di una professione ostacolata da fattori come lunghe ore lavorative, richiesta di flessibilità nella partecipazione a conferenze nazionali o internazionali, incertezza di contratti spesso rinnovati di anno in anno e strettamente dipendenti dal successo dei finanziamenti non garantiti, e infine stipendi bassi. Inoltre conciliare l’impegno della carriera di ricercatore con i figli e la gestione familiare non è facile. La scelta, credo, dipenda anche dal ruolo della donna nella società in relazione alle differenze culturali tra una nazione e l’altra. Non a caso nei paesi occidentali si trovano spesso coppie che seguono la stessa carriera scientifica; ricercatori che si sono conosciuti nei “banchi di laboratorio” e che insieme condividono l’importanza del successo della donna nella scienza e il ruolo nel management della famiglia. Quali sono secondo voi altre cause possibili per questo fenomeno cosi diffuso al mondo?