Noemi Iovane, 32 anni, vive in provincia di Monza e Brianza con il fidanzato Mattia e lavora come aiuto cuoca. Da quando era bambina soffre di sindrome del QT lungo, una malattia cardiaca che provoca frequenti svenimenti.
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Il primo svenimento improvviso a 12 anni
Un brutto spavento o uno stress troppo forte potrebbero essere fatali per me, persino un rumore improvviso, come una sveglia mattutina dallo squillo severo. Sono affetta dalla sindrome del QT lungo, una malattia rara per cui non c’è cura, ma con cui ho imparato a convivere da vent’anni.
Avevo 12 anni quando ho avuto la prima sincope, ho perso conoscenza da un momento all’altro. Quando mi sono risvegliata c’era l’ambulanza che poi mi ha portato in ospedale. Ma a salvarmi la vita è stato uno dei miei fratelli maggiori: allarmato dallo svenimento, mi ha praticato la respirazione bocca a bocca e ha subito chiamato i soccorsi. Eppure fino a quel momento non avevo mai avuto malori. Non praticavo sport, ma frequentavo senza problemi l’ora di educazione fisica a scuola. L’unica cosa strana che ricordo era la sensazione che a volte il cuore accelerasse inspiegabilmente, anche quando stavo ferma.
Mi hanno impiantato un defibrillatore
Dopo la prima sincope, nel 2002, ho trascorso un mese ricoverata in ospedale nel reparto di pediatria, pensavano che fossi epilettica. Continuavo a svenire spesso, ma non riuscivano a capire cosa avessi. Finché un medico, dopo un elettrocardiogramma, mi ha trasferito all’unità coronarica, sospettando che il mio problema in realtà fosse nel cuore e che fossi affetta dalla sindrome del QT lungo. Nessuno, però, mi spiegò di cosa si trattasse nello specifico.
Ho iniziato ad assumere beta-bloccanti, ma le sincopi continuavano e nel giro di poche settimane sono stata trasferita a Milano per farmi impiantare un defibrillatore. Ricordo solo il trasporto in ambulanza tra i due ospedali e poi il risveglio traumatico con il macchinario ormai impiantato. Ho scoperto solo dopo che il dispositivo mi avrebbe sì salvato la vita in caso di sincope, ma non mi avrebbe protetto da nuovi svenimenti e malori, dovendo così affrontare nel tempo altri ricoveri e tentare nuove terapie.
Alle superiori ho iniziato ad avere attacchi d’ansia
Una volta a casa ho cercato di riprendere una vita normale, tornando anche a scuola, ma mi sentivo diversa. Non potevo più praticare educazione fisica, in classe mi avevano dato una sedia con i braccioli che, in caso fossi svenuta, avrebbe tamponato la mia caduta. Se andavo in bagno dovevo essere accompagnata da qualcuno. Era una situazione claustrofobica, tanto che in seconda superiore ho iniziato a soffrire di attacchi di ansia. Nel frattempo, negli anni ho dovuto subire altri interventi per il defibrillatore, il primo nel 2006 perché continuavo ad avere così tante sincopi che mi si era scaricato il dispositivo e un’altra operazione nel 2009 perché mi si era lacerata la pelle dov’era stato impiantato il dispositivo. Stavo male sia fisicamente sia psicologicamente, non c’erano miglioramenti nella mia vita, sentivo solo una costante paura di rimanere sola e di morire.
Per me niente film adrenalinici e concerti
La svolta è arrivata dieci anni fa quando un medico, durante un controllo, mi ha consigliato di rivolgermi a uno specialista, il professor Peter Schwartz, presso l’Istituto Auxologico Italiano. Fin dall’inizio sono stata rassicurata dall’approccio umano del professore e della sua équipe. Mi hanno spiegato cosa mi accadesse ogni volta che avevo una sincope e come imparare a convivere con la sindrome, placando la mia ansia. Anche i miei famigliari sono stati sottoposti a esami genetici ma nessuno dei miei fratelli per fortuna ha questa malattia.
Ho iniziato a effettuare controlli ed esami ogni sei mesi e gradualmente ho imparato a capire come controllare le mie emozioni, evitando stress, spaventi o rumori forti. Ad esempio, non guardo film che possano scatenarmi adrenalina e non vado ai concerti dove la musica ad alto volume potrebbe destabilizzarmi. Persino la sveglia che uso la mattina ha un rumore dolce e cerco di stare sempre con persone che sappiano della mia sindrome in modo che, in caso di necessità, possano intervenire in modo adeguato.
Sarebbe giusto prevedere un supporto psicologico per i pazienti come me
Da otto anni sono fidanzata con un ragazzo speciale, Mattia, che sa starmi accanto con un atteggiamento ottimista, sostenendomi nei momenti più delicati. Come l’anno scorso, quando ho affrontato un intervento con l’équipe del professor Schwartz perché avevo ricominciato a soffrire di aritmie forti. Durante l’operazione ho subito la denervazione del nervo simpatico: sono stati eliminati i nervi che vanno al cuore e in questo modo sono protetta da aritmie cardiache gravi. L’affetto della mia famiglia e la comprensione dei miei colleghi sono fondamentali per permettermi di convivere al meglio con questa malattia, ma credo che sarebbe giusto prevedere un supporto psicologico per chi come me è affetto dalla sindrome, in modo da imparare a non essere sopraffatti dal timore di provare emozioni che possano essere fatali per il nostro cuore.