Sono gli anni Novanta e la parola «fibrosi cistica» è ai più sconosciuta. Chi la conosce è perché l’ha vissuta da vicino, in prima persona o attraverso un familiare. Sa che è una malattia grave e anche molto complessa. Tra queste persone c’è Matteo Marzotto, oggi 56enne, ma all’epoca poco più che ventenne, sesta generazione della nota famiglia di industriali della lana, che nel 1989 perde, proprio a causa della patologia, la sorella Annalisa.
«In Italia non esisteva ancora una realtà che promuoveva la ricerca in quell’ambito», ricorda Marzotto, «così, insieme a Gianni Mastella, uno dei massimi ricercatori in fibrosi cistica a livello internazionale, a Michele Romano, al tempo direttore dell’Azienda Ospedaliera di Verona, e a Vittoriano Faganelli, imprenditore che come me ha avuto familiari colpiti dalla patologia, abbiamo colmato il vuoto, uniti dal desiderio di porre le basi per una ricerca avanzata con l’obiettivo di far progredire velocemente le cure».
Quando nasce la Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica (Ffc Ricerca), nel 1997, a Verona, i pazienti non arrivavano all’età scolare. Oggi l’aspettativa di vita va oltre i 40 anni. «Grazie ai progressi della ricerca sono stati scoperti farmaci innovativi che stanno dando risultati straordinari e che aspirano a trasformare la fibrosi cistica in una malattia cronica», continua l’imprenditore. «Una rivoluzione epocale a cui anche la nostra fondazione ha contribuito. Dal 2002 abbiamo investito più di 36 milioni di euro in attività di ricerca, promosso e finanziato 454 progetti scientifici. Dico sempre che la nostra fondazione è un miracolo».
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La fibrosi cistica è la malattia genetica grave più diffusa in Europa. Con quali sintomi si manifesta alla nascita?
«La fibrosi cistica produce un muco molto denso che danneggia soprattutto l’apparato respiratorio, tende a ostruire i bronchi e porta a infezioni respiratorie ripetute. In realtà, più che attraverso i sintomi, la diagnosi avviene precocemente grazie a un prelievo di sangue a pochi giorni dalla nascita che valuta un particolare enzima pancreatico. L’esame fa parte del programma di screening neonatale per la fibrosi cistica che è attivo in tutte le regioni italiane. In caso di esito positivo dello screening neonatale si procede poi a quello che costituisce l’esame principale per fare diagnosi: il test del sudore».
Chi vuole diventare genitore dovrebbe porsi il dubbio sulla possibilità che i suoi figli nascano con la fibrosi cistica?
«Un bambino nasce con la patologia quando eredita da entrambi i genitori una copia mutata del gene CFTR, una piccola porzione di Dna. Chi possiede solo una copia mutata di questo gene non ha la malattia, non ha alcun sintomo, ma è portatore sano di una copia difettosa del gene, e la può trasmettere al figlio. In Italia c’è un portatore sano di fibrosi cistica ogni 30 persone. Una coppia di portatori ha il 25% di probabilità a ogni gravidanza di avere un bambino malato. Per fortuna un test genetico molto efficace (vedi qui sotto) nella maggior parte dei casi permette di sapere se una persona è portatrice sana di fibrosi cistica».
Il test del portatore sano
«1 su 30 e non lo sai» è il nome del progetto triennale promosso dalla Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica per sensibilizzare la popolazione sulla possibilità di eseguire il test del portatore sano di fibrosi cistica.
In Italia c’è un portatore sano ogni 30 persone circa, in tutto due milioni di cittadini. La frequenza dei portatori varia a seconda delle popolazioni: è maggiore nelle europee e nordamericane, minore in quelle di origine africana o asiatica. Dal momento che il portatore non ha nessun sintomo, l’unico modo per scoprire di esserlo è sottoporsi al test che analizza il Dna attraverso un semplice prelievo di sangue (Ffc Ricerca ha curato la pubblicazione di un sito informativo a riguardo).
Chi dovrebbe farlo? Il test è fortemente raccomandato quando una coppia in procinto di avere un figlio sa di avere un parente malato, sa di avere un parente portatore o sa che uno dei due è portatore sano oppure malato. Il test si esegue in laboratori specializzati in tecniche di genetica molecolare, dietro presentazione di richiesta del medico curante (indicare «Test genetico per ricerca delle mutazioni del gene CFTR»).
Per chi ha parenti con fibrosi cistica il costo del test è sostenuto dal Servizio sanitario nazionale e in tutte le regioni si paga solo il ticket. Per chi, invece, non ha parenti affetti dalla patologia, il costo del test è a proprio carico. Un laboratorio pubblico può far pagare dai 250 ai 700 euro a persona, in base alla tecnica applicata e all’interpretazione delle direttive sanitarie regionali. Solo in alcune regioni la gratuità del test è estesa alle coppie che chiedono la procreazione medicalmente assistita in centri pubblici o convenzionati, anche se non hanno parenti con fibrosi cistica.
Oggi l’aspettativa di vita va oltre i 40 anni. Quali sono stati i passi avanti più importanti?
«Diversi fattori hanno contribuito ad aumentare le aspettative di vita delle persone con fibrosi cistica. Innanzitutto la possibilità di una diagnosi precoce grazie allo screening neonatale e, meno frequentemente, la diagnosi prenatale. Poi l’avvento di terapie inalatorie per fluidificare il muco denso che si trova nei bronchi; lo sviluppo di opportuni supporti e indicazioni nutrizionali; l’uso di protocolli di eradicazione di batteri persistenti; l’accesso al trapianto polmonare in caso di malattia molto avanzata. Inoltre, il recente avvento dei farmaci modulatori ha aperto a una prospettiva di vita ancora migliore. Accanto a ciò non va dimenticata l’adozione di un approccio multidisciplinare e multiprofessionale alla cura della malattia».
Ci parli delle terapie.
«A oggi non esiste una terapia risolutiva per la fibrosi cistica, ma sono disponibili cure sempre più efficaci in grado di aiutare a controllare la malattia. Ci sono terapie che mirano a trattare i sintomi e rallentare la progressione della patologia polmonare, con tecniche di rimozione del muco dalle vie respiratorie e trattamenti antibiotici. Importante è anche la fisioterapia respiratoria, che aiuta a liberare le vie aeree e va svolta tutti i giorni».
«La difficile digestione e assimilazione degli alimenti, in particolare dei grassi, presente nella maggior parte dei malati, può essere controllata assumendo a ogni pasto degli appositi enzimi. Inoltre, grazie alla ricerca scientifica, da qualche anno sono emersi nuovi approcci terapeutici in grado di correggere alcuni dei difetti alla base della malattia. Si tratta di farmaci chiamati modulatori della proteina CFTR, che hanno migliorato notevolmente la qualità della vita di molte persone con fibrosi cistica. Attualmente ne esistono quattro: Kalydeco, Orkambi, Symkevi e Kaftrio».
Sono rimborsati dal Sistema sanitario nazionale?
«Sono prescrivibili secondo specifiche indicazioni terapeutiche per età e tipologia di mutazioni. Insieme alla Lega italiana fibrosi cistica e alla Società italiana fibrosi cistica (le altre due organizzazioni che in Italia si occupano della patologia, ndr) abbiamo aperto un tavolo di lavoro che ci ha visti impegnati nell’accelerare l’accesso dei pazienti ai farmaci innovativi presenti sul mercato con costi sostenibili da parte del Servizio sanitario nazionale, traguardo raggiunto a luglio 2021 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Determina Aifa, che include anche la rimborsabilità del più recente tra i modulatori introdotti, Kaftrio».
Come funzionano questi farmaci?
«I modulatori sono progettati per correggere specifici difetti della proteina che i pazienti non riescono a produrre a causa della patologia, in modo che questa possa funzionare correttamente. Tuttavia, esistono diversi tipi di difetti a carico di questa proteina, dovuti a diverse mutazioni nel gene CFTR: a oggi se ne conoscono più di duemila. I farmaci modulatori purtroppo sono attivi solo su una minima parte di queste, sebbene le più frequenti».
Perciò in Italia circa il 30% di persone con fibrosi cistica rimane esclusa dall’utilizzo dei farmaci modulatori. Che alternative hanno questi pazienti?
«Devono affidarsi alle altre opzioni terapeutiche per il trattamento delle manifestazioni della malattia. Tuttavia la ricerca scientifica si sta impegnando nello studio di molecole alternative ai modulatori, che siano attive anche su mutazioni più rare. La nostra fondazione in questo ambito ha investito in diversi progetti, tra cui la Task Force for Cystic Fibrosis, conclusasi nel 2020 con l’identificazione di una molecola particolarmente promettente su cui un’azienda farmaceutica sta proseguendo gli studi. E poi il progetto Molecole 3.0, tuttora in corso, che sta analizzando due famiglie di composti attivi».
«Un altro campo di studi sostenuto da Ffc Ricerca attraverso il progetto Effetto Kaftrio riguarda la sorveglianza post-commercializzazione degli attuali farmaci modulatori, per valutare il profilo rischi/benefici di questi farmaci in maniera indipendente dalle case farmaceutiche. Allo stesso tempo la fondazione ritiene molto importante continuare a investire nella ricerca di farmaci antinfiammatori e antinfettivi per rallentare i danni causati dalla malattia».
Un giorno si potrebbe arrivare a correggere il difetto di base, quello che genera la malattia, in modo risolutivo?
«Risolvere la fibrosi cistica alla radice attraverso l’editing genomico è l’ultima frontiera. L’editing genomico è una tecnologia che permette di modificare il Dna all’interno di una cellula per correggere eventuali errori alla base di malattie genetiche. Il sistema attualmente più usato ed efficiente si chiama CRISPR-Cas, una sorta di taglia-e-cuci del Dna capace di agire in maniera molto precisa a livello della sequenza bersaglio con lo scopo di portare alla produzione di una proteina funzionante.
Poi ci sono le metodologie a base di molecole di Rna, che non interferiscono con il Dna, ma consistono nell’inserire nelle cellule direttamente lo stampo per produrre la proteina desiderata. Questi approcci sono particolarmente interessanti e promettenti perché si potrebbero applicare a qualsiasi mutazione e quindi essere potenzialmente efficaci per tutte le persone con fibrosi cistica».
Qual è stato il successo più grande ottenuto dalla fondazione da quando è nata?
«Essere l’acceleratore riconosciuto, a livello ministeriale, della ricerca sulla fibrosi cistica in Italia ed essere parte di un grande movimento internazionale».
Quale si augura per il futuro?
«Può sembrare paradossale, ma il mio sogno è chiudere la fondazione, perché vorrebbe dire che non ce n’è più bisogno e si è trovata la cura per tutti i malati con fibrosi cistica».
C’è stato un momento a cui tiene particolarmente e che non dimenticherà?
«È stato un privilegio ma anche un’avventura contribuire alla visione di Gianni Mastella, che è stato uno dei primi e più importanti ricercatori sulla fibrosi cistica nel mondo, nonché primo ideatore di Ffc Ricerca. Mentre un ricordo che porterò per sempre nel cuore riguarda una bambina in una fase estremamente severa della malattia che spiegava a sua madre perché gioire nonostante la fibrosi cistica».