Testo di Luigina Pugno,
psicologa e psicoterapeuta,
blogger di GRAVITÀ ZERO
Nella mente di alcune persone il fatto che un medico per un dolorino, invece di una medicina, prescriva degli esami, è sufficiente perché si scateni una grande ansia. Nella realtà del malato, le emozioni regnano sovrane, la paura è sempre lì in agguato e l’illusione di essere invulnerabili, immortali e sempre giovani può andare in frantumi al solo sentir pronunciare «esame citologico».
La medicina vede il suo scopo nella cura della patologia e dimentica spesso che il malato fa anche esperienza di malattia. Questo modello è stato perpetrato dall’idea che mente e fisico alloggino nello stesso corpo, ma svolgano una vita indipendente l’uno dall’altro.
All’opposto si trova quella scuola di pensiero che ritiene che gli individui possano curarsi da soli alimentando pensieri positivi e generando nei pazienti sensi di colpa riguardo l’insorgere della malattia.
La verità sta tra questi due estremi.
Nel 1974 Robert Ader scoprì che anche il sistema immunitario era in grado di apprendere, proprio come il Sistema nervoso centrale. Nei suoi esperimenti Ader aveva somministrato ad alcuni ratti un farmaco che riduceva la quantità delle cellule T, che difendono l’organismo dalle malattie. Ogni volta che i ratti ricevevano il farmaco, ricevevano anche acqua contente saccarina. Ma Ader scoprì che se somministrava solo acqua zuccherata si aveva un’automatica diminuzione delle cellule T. In altre parole il sistema immunitario aveva imparato che insieme allo zucchero arrivava anche il farmaco e si comportava di conseguenza.
Secondo la medicina di allora questo non sarebbe dovuto accadere. Ma da allora le ricerche si sono sempre più moltiplicate fino a far nascere la psiconeuroimmunologia, che studia i legami tra sistema nervoso centrale (SNC) e sistema immunitario, che è diventata una disciplina medica, anche se ancora di frontiera. Il suo stesso nome riconosce l’influenza tra psiche, SNC e sistema immunitario. In più gli stessi messaggeri chimici che operano sia nel cervello, sia nel Sistema immunitario sono anche quelli più frequenti nelle aree neurali che regolano le emozioni.
È stato David Felten a studiare l’impatto delle emozioni sul sistema immunitario. Dagli studi fatti con la microscopia elettronica si è visto che sulle cellule immunitarie sono presenti strutture simili a sinapsi, che permettono ai neurotrasmettitori liberati dalle cellule nervose di regolare l’attività delle cellule immunitarie.
Un esempio della via di collegamento tra emozioni e sistema immunitario è rappresentato dallo stress. Quando aumenta nel sangue la presenza di adrenalina, cortisolo e prolattina in seguito a stress le cellule immunitarie diminuiscono.
Le emozioni che interferiscono maggiormente col buon funzionamento delle cellule immunitarie, se esperite in modo costante, sono la rabbia, l’ansia e la depressione. Dagli studi fatti si evince che possono predisporre ad attacchi di cuore o ictus non solo l’ipertensione, ma anche l’aver un carattere irascibile o ansioso. La differenza sta che negli uomini è maggiormente predisponente la rabbia e nelle donne l’ansia (si veda a tal proposito gli studi di Markowitz e Thoreson).
Ma ciò che è anche importante sapere è che rabbia, ansia e tristezza influenzano molto il decorso della malattia. Per cui sarà più facile per chi tende a vivere queste emozioni con costanza riavere un attacco cardiaco entro un anno dal primo.
Allora cosa converrebbe fare? Imparare fin da ora tecniche di rilassamento, ad essere più critici nei confronti dei propri pensieri (per es. non sempre l’autobus ritarda perché l’autista fa la pausa più lunga del consentito) e ad allenarsi ai pensieri positivi.
Una volta ho letto che pessimisti e ottimisti hanno entrambi torto, ma che gli ottimisti vivono meglio. In questo caso potremmo dire che vivono più a lungo.
Luigina Pugno
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