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La nanomedicina è ormai alle porte

«Entro 10 anni il mondo della farmaceutica sarà dominato dai nanofarmaci. Nel prossimo futuro, infatti, non ci sarà ragione di usare medicinali nudi, ma tutti saranno veicolati da nanoparticelle: sarà la norma non l'eccezione». E' la previsione di Mauro Ferrari, cervello italiano inventore della nanomedicina oncologica, presidente del Methodist Hospital Research Institute di Houston (Usa). «Ho appena consultato la mia sfera di cristallo», scherza Ferrari raggiunto negli Stati Uniti, Paese per il quale ha scritto e progettato il programma federale per la nanomedicina, in particolare applicata al cancro, sul quale sono stati già investiti 700 milioni di dollari: «E' una novità che cambia il mondo», dice Ferrari, e oltreoceano ci si sta puntando molto.  

«Entro 10 anni il mondo della farmaceutica sarà dominato dai nanofarmaci. Nel prossimo futuro, infatti, non ci sarà ragione di usare medicinali nudi, ma tutti saranno veicolati da nanoparticelle: sarà la norma non l’eccezione». E’ la previsione di Mauro Ferrari, cervello italiano inventore della nanomedicina oncologica, presidente del Methodist Hospital Research Institute di Houston (Usa). «Ho appena consultato la mia sfera di cristallo», scherza Ferrari raggiunto negli Stati Uniti, Paese per il quale ha scritto e progettato il programma federale per la nanomedicina, in particolare applicata al cancro, sul quale sono stati già investiti 700 milioni di dollari: «E’ una novità che cambia il mondo», dice Ferrari, e oltreoceano ci si sta puntando molto.

 

«Nel prossimo decennio – spiega Ferrari – i nanofarmaci diventeranno una quota sempre più importante perché permettono a tutti i farmaci di essere più efficaci e meno dannosi». Oggi, dopo i farmaci chimici e biologici, questi prodotti «sono la terza forza», sottolinea Ferrari, tra i primi al mondo a interessarsi del settore dove è impegnato da 15 anni, in particolare per l’oncologia. I vantaggi dei nanofarmaci nella lotta al cancro «sono legati al fatto – sottolinea l’esperto – che portano i principi attivi direttamente sul tumore. Si ottiene così una maggiore efficacia nella riduzione del cancro e, contemporaneamente, si limita la dispersione del farmaco in altre parti dell’organismo, contenendo così i danni collaterali. In sintesi più efficacia e meno effetti avversi».

Gruppo San Donato

Questa tecnologia, infatti, punta a dirigere la molecola attiva verso il bersaglio. «E’ una questione di veicolazione». Le nanoparticelle sono navicelle che caricano a bordo le molecole del farmaco e, per le loro caratteristiche fisiche e chimiche, riescono ad individuare la meta, le porte da aprire, e a superare le barriere biologiche di difesa dell’organismo. «Con i farmaci chimici e anche i più recenti biologici, la percentuale di prodotto che arriva sul tumore è una parte per mille, se non peggio. E si tratta di farmaci estremamente tossici, utilizzati proprio perché in grado di avvelenare il tumore. La nanomedicina, quando funziona, risolve questo grave problema».

Sui nanofarmaci, però, sono stati sollevati dubbi sul fatto che le nanoparticelle possano essere eliminate con difficoltà dall’organismo creando, poi, altri danni. «La mia strategia – precisa Ferrari – utilizzata nel laboratorio che dirigo, e che raccomando a tutti, è usare particelle che siano completamente degradabili nel corpo e che scompaiano del giro di qualche giorno o, al massimo, di qualche settimana. Non userei mai particelle che possano accumularsi e che non sappiamo cosa possano creare sul lungo periodo. Altri non sono d’accordo e usano particelle che, secondo dati sperimentali, si disperdono del tempo. Ma, personalmente, sono convinto che è meglio non fidarsi».

Problema diverso sono le nanoparticelle, utilizzate nelle produzioni industriali per diversi prodotti, che possono essere a rischio per la salute umana quando disperse nell’ambiente. «Su questo settore – aggiunge – non c’è controllo e questa è certamente una preoccupazione. I farmaci, invece, devono essere valutati dalle agenzie dei farmaci sul piano della sicurezza». Negli anni «ho valutato a fondo – continua l’esperto – e cercato eventuali risvolti bioetici legati specificamente ai nanofarmaci. Ma, dopo 15 anni, non ho rilevato differenze, in questo campo, rispetto agli altri farmaci».

Ma in medicina «non c’è nulla esente da rischio. Il pericolo d’accumulo di questi farmaci esiste sicuramente, ma non è un problema diverso da quello che esiste per altri. E i test di sicurezza di tutti i medicinali prevedono di verificare questi rischi». La nanomedicina, infine, non è un solo futuro. «Non parliamo di fantascienza. I primi nanofarmaci – conclude Ferrari – sono stati approvati quasi 15 anni fa. Prima ancora che si usasse la parola nano. I liposomi, ad esempio. Diversi prodotti vengono usati da tempo in oncologia, come la doxorubicina incapsulata nei liposomi, che nei reparti oncologici è utilizzata da oltre 10 anni».

Fonte Adnkronos

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