Nel 2010 le persone affette da demenza nel mondo erano 35,6 milioni. Nel 2030 aumenteranno del doppio e nel 2050 del triplo, con 7,7 milioni di nuovi casi all’anno (pensate: uno ogni quattro secondi) e una sopravvivenza media, dopo la diagnosi, di quattro-otto anni. I numeri della demenza, raccolti nel primo report Barometro Alzheimer: riflessioni sul futuro della diagnosi e del trattamento della malattia di Alzheimer, realizzato da Deloitte in collaborazione con Biogen, raccontano di un fenomeno allarmante e in continua crescita.
Se poi si aggiunge l’elevato numero di pazienti non diagnosticati, che rende la reale incidenza di queste patologie sottostimata, è facile capire come mai l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Alzheimer’s Disease International e i ministri della Salute riuniti nel G20 di Roma nel 2021 abbiano riconosciuto le demenze come una priorità mondiale di salute pubblica.
A far riflettere, poi, è l’impatto economico di queste malattie – solo in Italia si stima un costo dell’Alzheimer di circa 15,6 miliardi di euro, cifra che per l’80% è a carico della collettività (fonte: Costs and Resource Use Associated with Alzheimer’s Disease in Italy, 2018) – ma anche l’impatto sociale. Per oltre un milione di pazienti con demenza presenti nel nostro Paese ci sono circa tre milioni di persone coinvolte nella loro assistenza, con effetti negativi su vita lavorativa e stato di salute di chi si prende cura. Oggi, quindi, è fondamentale investire in sistemi sanitari e sociali in grado di migliorare il sostegno, la cura e i servizi per le persone colpite da demenza e per i loro familiari.
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Il Paese Ritrovato è il primo villaggio in Italia per i malati di demenza
È in questa direzione che va Il Paese Ritrovato, un villaggio alle porte di Monza, in Lombardia, nato nel 2018 per volere della Cooperativa La Meridiana, che da anni lavora nell’ambito dei disturbi cognitivi e delle fragilità. Si tratta di un piccolo borgo con le vie, la piazza, otto appartamenti, i giardini e l’orto, i negozi, il bar, i luoghi di incontro, la chiesa, che accoglie 64 persone con demenza, dando loro la possibilità di vivere la propria autonomia residua liberamente e, al contempo, ricevere l’assistenza e le tutele delle quali necessitano.
«Il nostro è un modello autorizzato dalla Regione Lombardia come sperimentazione di una residenzialità alternativa alla lungodegenza tradizionale, dedicata agli adulti con varie forme di demenza lieve-moderata: da quelle neurodegenerative, che comprendono anche la malattia di Alzheimer, a quelle di origine vascolare, fino alle patologie fronto-temporali. L’unica condizione richiesta è che gli ospiti siano in grado di deambulare autonomamente», spiega la geriatra Mariella Zanetti, che da anni si occupa di fisiopatologia dell’invecchiamento e diagnosi precoce di patologie cognitive.
Al Paese Ritrovato è il medico responsabile o, come ama definirsi lei, è il «medico del paese», che giorno dopo giorno segue i miglioramenti dei suoi residenti (termine che preferisce a pazienti perché, come sottolinea, «questo è un luogo di cura, ma soprattutto di incontro, scambio e condivisione»).
Il Paese Ritrovato e residenze tradizionali: quali sono le differenze?
Rispetto ai modelli di lungodegenza tradizionali, nei quali la persona si adatta non solo alle cure, ma anche ai ritmi lavorativi e organizzativi dell’équipe multidisciplinare, la struttura lombarda, dove l’importo giornaliero per la degenza è di 93 euro, si diversifica completamente, tanto da rappresentare un unicum nel panorama socio-assistenziale italiano.
«Mettiamo il bisogno di autodeterminazione e di scelta dell’individuo al centro del sistema», continua la geriatra. «Gli orari del sonno, del risveglio e dei pasti, ad esempio, non sono standardizzati, ma flessibili. Noi proponiamo idee e iniziative per organizzare la giornata, poi però sono i residenti a scegliere come muoversi, come passare il loro tempo, con chi socializzare. Possono fare teatro, frequentare un corso di lingue, cucinare, curare le piante, aiutare nelle pulizie o semplicemente stare nella loro camera a leggere o a riposare».
«Ovviamente, se lo necessitano e in maniera diversa a seconda del grado di severità della malattia, vengono supportati e seguiti dai nostri medici, operatori, terapisti, fisioterapisti, psicologi e infermieri, ma in generale sono loro i veri protagonisti del borgo. Insomma, possono riappropriarsi della propria quotidianità e non subire passivamente l’ambiente circostante». L’obiettivo è riconoscere dignità al malato, facendolo sentire importante e parte attiva di una comunità.
Quali sono i benefici riscontrati nei residenti?
E i benefici riscontrati sono tanti, come dimostrano i dati raccolti in questi cinque anni di attività e presentati durante l’ultimo meeting annuale della Gerontological Society of America a Indianapolis. «Tendenzialmente le persone con demenza non sono in grado di esprimere i loro bisogni e le emozioni in maniera strutturata e razionale: spesso è il comportamento a rappresentare una risposta al dolore, al disagio, a determinate esigenze psicofisiche, alla noia e così via», racconta Zanetti.
Diminuiscono ansia e aggressività
«Ansia, irrequietezza, rabbia, aggressività sono una finestra di lettura di stati d’animo, necessità e richieste di aiuto, ma talvolta possono costituire un problema per chi si prende cura di queste persone. In molti casi, infatti, i pazienti accedono al Paese Ritrovato proprio perché i caregiver non sono più in grado di gestire questi atteggiamenti. Ecco, studiando i nostri residenti abbiamo osservato una riduzione di questi disturbi comportamentali. Le espressioni di disagio con le quali arrivano quasi tutti gli ospiti, qui tendono a diminuire senza un incremento di terapie sedative».
Si attenuano gli stati depressivi
«Inoltre ci siamo accorti che nei residenti del villaggio si sono attenuati gli stati depressivi, grazie soprattutto alla possibilità di socializzare con gli altri ospiti, il personale della struttura, i volontari e di condurre una vita attiva. Quel che già si sapeva in letteratura, e che noi abbiamo verificato direttamente “sul campo”, è che la terapia sociale influenza positivamente l’anziano, con o senza demenza. Coltivare relazioni, salvaguardare la propria indipendenza e svolgere attività manuali o mentali sono tasselli importanti a livello terapeutico perché fanno stare bene l’individuo e lo stimolano dal punto di vista cerebrale».
I residenti percepiscono una buona qualità della vita
Mettere al centro la persona fragile significa anche ascoltare quello che ha da dire e conoscere i suoi bisogni insoddisfatti. Per questo motivo, le psicologhe della struttura, che riceve una sovvenzione giornaliera da Regione Lombardia, conducono periodicamente delle interviste ai residenti per capire come questi percepiscano la loro qualità della vita all’interno del Paese. Si tratta di un aspetto innovativo perché in altre realtà non si interpellano le persone con fragilità cognitiva per sapere quanto e di cosa sono soddisfatte.
«Abbiamo raccolto i dati relativi a sondaggi e questionari sottoposti ai residenti nell’arco di due anni», continua la specialista. «È venuto fuori che i valori attribuiti alla qualità della vita, alla soddisfazione per le cure ricevute, alle attività seguite, alla privacy, alle relazioni con il personale, all’ambiente e all’autorealizzazione sono superiori a quelli di riferimento secondo la scala Quality_Via, che consente di misurare la qualità di vita degli anziani residenti nei contesti di cura tradizionali. Grazie a questa metodologia siamo in grado di migliorare i servizi proposti e di progettare interventi mirati e individualizzati».
La performance motoria migliora
Dunque, quello che emerge dalle indagini dell’équipe è che l’ambiente e la possibilità di usufruirne liberamente condizionano fortemente il benessere della persona con demenza. «A casa o nelle Rsa tradizionali i pazienti trascorrono la maggior parte del tempo seduti e, quando si muovono, i loro spostamenti sono quasi sempre condizionati o dai caregiver o dagli operatori sanitari, che indicano cosa fare e dove andare», riprende Zanetti.
«Se l’anziano è poco stimolato dal punto di vista motorio e magari assume anche terapie farmacologiche con effetti collaterali riguardanti le abilità di movimento, c’è un maggior rischio di andare incontro a cadute. Se invece, come al Paese Ritrovato, l’individuo può passeggiare, giocare a bowling o fare l’orto, anche la performance motoria ne giova». Chi si muove di più, quindi, rischia anche meno di cadere. Eventualità, questa, che può comunque verificarsi perché fa parte del naturale processo di invecchiamento e di fragilità dell’individuo, ma il personale del villaggio vigila costantemente queste situazioni.
I residenti de Il Paese Ritrovato sono monitorati con discrezione
«Il numero di operatori e volontari ci consente di supervisionare le persone che si muovono negli spazi esterni che, per facilitare l’orientamento, sono regolati da colori, illuminazione e una segnaletica stradale identica a quella che si trova al di fuori del borgo», spiega l’esperta. «Inoltre ci stiamo avvalendo di sistemi di intelligenza artificiale che ci consentono di controllare l’individuo all’interno dell’abitazione e della sua camera da letto, senza essere invadenti e violare la sua privacy. Il monitoraggio, a distanza e discreto, permette di intervenire in qualsiasi momento in caso di necessità».
Quali sono i benefici riscontrati nei familiari dei malati?
I riscontri positivi arrivano non solo dalle analisi condotte dai medici del Paese Ritrovato, ma anche dai feedback ricevuti dai familiari dei residenti. «Ricoverare il proprio caro non è quasi mai semplice, soprattutto a livello psicologico», conclude Zanetti. «Spesso, infatti, i parenti sono assaliti dai sensi di colpa, temono di aver tradito la fiducia dell’anziano, non sanno se si troverà bene nella struttura scelta, se gli peserà stare lontano dalla sua abitazione, se si integrerà con gli altri ospiti».
«Una volta che i residenti entrano nel Paese Ritrovato, però, i familiari ci riferiscono di vederli rinati grazie alle attività, alla possibilità di instaurare rapporti d’amicizia e d’affetto, alla libertà di cui godono. Inoltre i caregiver possono avere libero accesso al villaggio, portare fuori a pranzo o in vacanza i propri cari e, soprattutto, partecipare in prima persona alle iniziative proposte, come ad esempio l’organizzazione della festa del Paese. In questo modo a non subire passivamente la cura, l’assistenza e l’ambiente non è più solo il malato, ma anche chi lo ama e se ne è preso cura fino a poco tempo prima».
Gli altri esempi in Europa
Il Paese Ritrovato è l’unico villaggio per le demenze attivo in Italia ed è uno dei pochi presenti in Europa. Il primo, al quale poi si sono ispirati tutti gli altri, è De Hogeweyk, inaugurato ufficialmente nel 2009 (anche se alcune strutture, inizialmente adibite a casa di riposo, erano già presenti dal lontano 1993), a Weesp, cittadina olandese a pochi chilometri da Amsterdam. Sorta con l’obiettivo di preferire una preservazione delle capacità residue degli ospiti con demenza rispetto a una più standardizzata medicalizzazione, oggi il villaggio conta 27 appartamenti, abitati da 187 residenti.
Dopo questo progetto-pilota, che si è rivelato vincente tanto da obbligare i fondatori a un ampliamento ulteriore degli spazi, sono nate altre simili realtà. Tra queste ci sono il Village Landais Alzheimer a Dax, cittadina nella parte sud-occidentale della Francia, e il Furuset Hageby, sorto in un’area urbana a emissioni zero vicino a Oslo, in Norvegia.