Il robot in sala operatoria è una realtà già da tempo, ma Hugo potrebbe rappresentare una svolta. Al Policlinico Gemelli di Roma ,per la prima volta in Europa, è stato usato Hugo per un intervento di chirurgia ginecologica. Si tratta del nuovo sistema di chirurgica robot-assistita, messo a punto da un team di esperti di Medtronic. A procedere all’intervento di asportazione di utero e ovaie ci ha pensato invece il professor Giovanni Scambia, Direttore del Dipartimento Universitario Scienze della Vita e di Sanità Pubblica dell’Università Cattolica e Direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
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Robot in sala operatoria: quali sono i vantaggi?
Tra i vantaggi di questa nuova piattaforma robotica, oltre alla estrema precisione, ci sono anche costi molto competitivi rispetto agli altri robot che si usano già in alcuni ospedali. L’abbassamento dei costi è uno degli aspetti fondamentali, che potrebbe permettere di aumentare le strutture in cui si utilizza. Basti riflettere sul fatto che attualmente la chirurgia robotica è impiegata solo nel 3% degli interventi, nonostante esista da oltre vent’anni. L’obiettivo di questo sistema di chirurgia robot-assistita è proprio quello di raggiungere il massimo numero di pazienti in tutto il mondo, soprattutto nel campo della ginecologia e della urologia, che sono i due ambiti dove ad oggi viene eseguita la metà di tutti gli interventi con tecnologia robotica.
La figura dei proctor
Un altro vantaggio è che per usare Hugo l’apprendimento formativo è rapido: se ne occupa la stessa azienda che l’ha messo a punto, la Medtronic. I chirurghi devono partecipare in presenza a un corso teorico-pratico in alcuni ambienti specializzati. Una volta che si diventa chirurghi esperti, quindi proctors, questi poi affiancano come supervisori i loro colleghi chirurghi nei primi interventi.
Robot in sala operatoria: Hugo sarà utilizzato anche contro il cancro
Hugo verrà usato sempre di più al Policlinico Gemelli. Il professor Scambia conferma che lo utilizzeranno anche per la malattia oncologica «arrivando pian piano ad effettuare interventi sempre più complessi e mininvasivi».