In occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS ha preso il via la campagna di sensibilizzazione “HIV. Ne parliamo?” promossa da Gilead Sciences con il patrocinio di 16 Associazioni di pazienti italiane. Attraverso la voce di chi vive con l’HIV, la campagna pone l’attenzione sugli aspetti di vita che possono essere migliorati, per prenderne consapevolezza e iniziare ad affrontarli. A partire da una semplice domanda da fare al proprio medico: ne parliamo? Dagli aspetti psicologici alle relazioni con gli altri, dal dialogo con il medico alla corretta assunzione della terapia, questa campagna vuole offrire, attraverso le storie di chi vive con HIV, degli spunti di riflessione sulla propria condizione e informazioni utili per migliorarla.
La campagna è disponibile su www.hivneparliamo.it. «Quello della salute mentale e del benessere psicologico più in generale è un aspetto molto importante a cui non sempre viene data la giusta attenzione» spiega Alessandro Lazzaro, Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma.
«Numerose sono le persone con HIV a rischio depressione o che presentano disturbi come insonnia,
ansia, depressione che possono avere un impatto importante sulla qualità di vita. Le cause possono essere diverse: lo stigma sociale, purtroppo ancora fortemente presente, è una delle principali. Ma dietro alcuni di questi disturbi può esserci una causa biologica, legata agli effetti del virus o della stessa terapia antiretrovirale. In tale contesto, il dialogo medico-paziente ha un ruolo cruciale per prendere consapevolezza e affrontare queste
problematiche, non solo dal punto di vista delle scelte terapeutiche, ma anche per indirizzare chi ne ha bisogno verso un percorso integrato di tipo multidisciplinare».
A pesare sulla qualità di vita è anche la mancata aderenza alle terapie che interessa un paziente su tre e che potrebbero invece contribuire a migliorarla sensibilmente.
«Il contrasto all’HIV può contare su strategie terapeutiche efficaci, in grado di azzerare la carica virale, soprattutto se assunte il più precocemente possibile rispetto al momento dell’infezione. L’aderenza alla terapia resta però il punto chiave, sebbene circa il 30% dei pazienti non riesca a rispettarla» avverte Andrea Gori, Dipartimento Malattie Infettive, Ospedale “Luigi Sacco”, Università di Milano e presidente Anlaids Lombardia.
«Essere aderenti alla terapia vuol dire diminuire drasticamente la probabilità di comparsa di mutazioni del virus che possono provocare “resistenze ai farmaci anti-HIV”, ossia una ridotta o assente capacità dell’efficacia della
terapia stessa. Non solo: chi segue le indicazioni terapeutiche protegge anche gli altri, poiché azzerando la replicazione del virus non trasmette l’infezione, non è più contagioso».