Avevo tre anni quando, in un ristorante di Roma, mi allontanai dal tavolo a cui ero seduta insieme ai miei genitori per sgattaiolare – trascinata dalla musica – in una saletta attigua, dove un ragazzotto poco più che ventenne stava intrattenendo i clienti con consolle, microfono e balli di gruppo. Senza timidezza né soggezione attraversai la stanza, mi feci largo tra gli improvvisati ballerini e mi posizionai accanto a Steve – così si chiamava il giovane animatore – cercando di imitare ogni suo passo. Ero uno scricciolo di pochi chili ma avevo già intuito che muovermi a ritmo di musica mi divertiva più che andare in bicicletta, tuffarmi in piscina o giocare con le bambole, tanto che mamma e papà colsero un guizzo diverso nel mio sguardo e decisero di iscrivermi a una scuola di danza vicino a casa, la stessa che ho frequentato fino a pochi mesi fa.
Fu il primo vero incontro con quella che, da semplice passione, si sarebbe trasformata molti anni dopo nella mia professione, anche se ricordo che in casa mia si è sempre respirata un’aria di musica mista a danza. Mia mamma, sebbene fosse innamorata del ballo, che lei stessa ha praticato a lungo, non ha mai voluto spingermi in questa direzione perché voleva che fossi io a scegliere la mia strada; tuttavia, crescendomi a pane e dischi (per farmi addormentare mi faceva ascoltare Jovanotti e Michael Bublé e per farmi divertire metteva le canzoni di Shakira), è riuscita a trasmettermi un amore viscerale verso queste forme d’arte.
Amore che, durante la mia spensierata infanzia, ho coltivato studiando duramente e che, qualche anno più tardi, agli albori dell’adolescenza, mi avrebbe permesso di trovare una via di fuga in un’esistenza segnata, purtroppo, anche da episodi di bullismo. Sì, perché nel momento di massima vulnerabilità e fragilità della mia vita la danza ha rappresentato un’ancora di salvezza, che mi ha strappato dalle mani prepotenti dei bulli e mi ha dato un motivo in più per andare avanti, a testa alta.
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Alle scuole medie sono stata vittima di bullismo
I problemi sono iniziati appena entrata alle scuole medie. Solo alcuni anni più tardi, dopo esserne uscita, mi sono spesso domandata come mai alcuni compagni di classe si fossero accaniti su di me, che di esuberante avevo solo la risata, e perché la mia personalità e il mio aspetto fisico dessero loro tanto fastidio da spingerli a schernirmi. All’epoca ero gracilina, le gengive si scoprivano a ogni sorriso, avevo i denti un po’ storti e spaziati e un accenno di peluria sul viso, segno che il mio corpo si stava lentamente trasformando. A causa della mia timidezza detestavo leggere a voce alta, davanti a tutta la classe, e così, quando capitava, finivo sempre per impappinarmi, suscitando risatine e occhiatacce ironiche. Alle uscite pomeridiane con gli amici, poi, anteponevo le lezioni di danza e i giochi nella mia cameretta e agli outfit alla moda preferivo ancora quelli proposti dalla mamma.
Mentre tutte le ragazzine si atteggiavano come ventenni, adeguando di conseguenza anche la loro immagine, io mi sentivo ancora una bambina e non ero a mio agio a mostrarmi per quello che non ero. Perché non potevo godermi la mia pre-adolescenza senza voler sembrare a tutti i costi una donna fatta e finita? Perché dovevo giocare a fare l’adulta quando, dentro di me, sapevo di non esserlo? Ero fragile e insicura, eppure ho sempre trovato la forza di rimanere me stessa e di non «tradire» la mia personalità solo per farmi accettare dal gruppo e conquistare i leader della classe o della scuola. Questo atteggiamento controcorrente, sommato alle piccole imperfezioni fisiche e alle difficoltà scolastiche, mi ha resa vulnerabile, tanto da rappresentare un bersaglio facile da colpire.
I bulli colpivano con le parole, l’indifferenza e i dispetti
Ho sentito dire che le parole feriscono più della spada ma anche l’indifferenza non è da meno, credetemi. Oltre a deridermi e offendermi, spesso i bulli sceglievano di ignorarmi volontariamente: se prendevo la parola, nessuno mi degnava di una risposta; se durante l’ora di educazione motoria si dovevano comporre due squadre, nessun ragazzo mi sceglieva; se provavo a inserirmi in una conversazione, qualcuno mi interrompeva bruscamente per non darmi la possibilità di dire la mia. Mi sentivo sola ed esclusa. C’era poi chi non si accontentava di schernirmi ed evitarmi, ma passava anche all’azione: ho perso infatti il conto di quante volte ho trovato pagine di libri strappate, disegni denigratori sui quaderni, bigliettini provocatori intercettati per caso. Molti si divertivano anche a nascondere o danneggiare alcuni oggetti personali, come una giacca di pelle che indossavo sempre e che ho ritrovato tutta tagliuzzata con le forbici.
Quando tutti ti fanno sentire uno «sfigato», cominci a crederlo anche tu
Questi atteggiamenti prevaricatori e violenti avrebbero messo a dura prova chiunque, figuriamoci una ragazza sensibile e fragile come me. Quando tutti ti fanno sentire uno «sfigato», un perdente, cominci a crederlo anche tu. Ti guardi allo specchio e non hai niente che non vada; da un giorno all’altro, però, tutti ti dicono che hai un puntino blu in fronte e continuano a ripetertelo dieci, cento, mille volte. Alla fine, anche se non c’è, quel puntino blu – che tanto suscita l’ilarità dei tuoi compagni – lo vedi anche tu. Ecco che non solo subisci le angherie degli altri, ma inizi ad autodistruggerti, assimilando i loro ragionamenti e la loro mentalità. Così si finisce per sentirsi sbagliati e sgangherati, quando invece a essere in errore sono solo i bulletti che tanto amano vessare e prendere in giro.
Ed è per questa sensazione di inadeguatezza, mista a vergogna, che spesso si preferisce tacere e non condividere il profondo disagio, soprattutto con i propri genitori. Avrei voluto parlare coi miei perché sapevo che avrei ricevuto il loro sostegno e aiuto, ma quella situazione mi imbarazzava e non volevo dar loro un dispiacere, quindi lasciavo correre ed evitavo l’argomento. Piangevo in silenzio, cercavo di stringere i denti e farmi forza da sola, aggrappandomi a un unico pensiero: «resisti, al pomeriggio hai danza e passa tutto». Sì perché, come dicevo poco fa, il ballo era la mia valvola di sfogo, un modo per svuotare la mente da angosce e pressioni ed esprimermi liberamente, senza essere giudicata o additata.
La danza, Amici e l’incontro con Sangio sono stati la sua ancora di salvezza
La danza ha colmato un vuoto durante gli anni più difficili della mia crescita, mi ha insegnato cosa vuol dire lavorare duramente per raggiungere un obiettivo ed essere determinati quando si vuole ottenere davvero qualcosa. Mi ha esortato a riconoscere le mie potenzialità e a vedere ciò che di bello c’era dentro di me, stimolandomi a esserne grata. La danza è stata sacrificio, appagamento e consolazione, c’è sempre stata quando ho cercato di ritrovare l’equilibrio e di ritrovare il mio centro. Ha dato alla mia vita uno scopo e mi ha aiutata a prendere consapevolezza di quello che sono e di quello che potrò essere.
In questo hanno giocato un ruolo importante la partecipazione ad Amici di Maria De Filippi, che ha suggellato la mia rivincita nei confronti di chi mi ha sempre giudicata e schernita, facendomi sentire parte di una famiglia accogliente e stimolante, e l’incontro con Sangio, dopo il quale sono cambiate tante cose nella mia testa. Ho conosciuto una persona che ha saputo amare e valorizzare ciò che altri denigravano e sbeffeggiavano, dandomi la possibilità di essere me stessa, pur con la mia risata fragorosa, le mie gengive in evidenza, la mia timidezza. Per la prima volta mi sono sentita bene, a mio agio, spensierata. Ho voluto che questa nuova sensazione fosse impressa sulla mia pelle in maniera indelebile e ho scelto di tatuarmi la parola «confident» sul fianco perché oggi sono molto più sicura di me rispetto al passato.
È fondamentale chiedere aiuto e trovare qualcosa a cui aggrapparsi
Spero che la mia storia possa essere d’aiuto a chi, come me, ha sofferto a causa del bullismo perché la forza della condivisione può davvero far sentire più forti e meno soli. Sono convinta che ammettere l’esistenza di un problema non significhi vittimizzarsi o confermare le proprie fragilità, ma semplicemente facilitarne la soluzione. È fondamentale chiedere aiuto ai genitori, a un insegnante o a un amico più grande e trovare qualcosa a cui aggrapparsi, come ho fatto io con la danza. Coloro, invece, che stanno dall’altra parte della barricata stanno solo perdendo tempo perché i loro insulti, le loro risatine isteriche, i loro dispettucci non riusciranno a cambiare i nostri successi, i nostri traguardi, le nostre esperienze e soddisfazioni. Peccato per loro che non capiscono quanto sia prezioso il tempo e che sarebbe meglio impiegarlo a inseguire i propri sogni e le proprie passioni per sentirsi felici.
Giulia Stabile