Giulia Lamarca, 31 anni, di Torino, psicologa e formatrice, è paraplegica in seguito a un incidente in moto del 2011. Madre di Sophie, nata lo scorso settembre, tiene un blog di viaggi ed è autrice del libro Prometto che ti darò il mondo (DeAgostini 2021).
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Dopo un incidente in moto mi hanno diagnosticato una paraplegia incompleta
Per me viaggiare significa libertà, è il mio modo di camminare ancora con le mie gambe, lasciare il passato alle spalle e reinventarmi nel presente. È una sfida continua che è iniziata 11 anni fa. Il 6 ottobre 2011 ho avuto un incidente in moto, alla guida c’era un ragazzo, io ero dietro. Non ho mai perso coscienza e ricordo bene il dolore, che all’inizio sentivo solo in un piede, poi via via risaliva la schiena. Ricoverata, ho capito quasi subito che la situazione era grave, per tre mesi sono stata in un limbo chiedendomi se sarei tornata a camminare. Poi la diagnosi: paraplegia incompleta. È stato terribile, avevo 19 anni. Ho realizzato che nulla sarebbe stato come prima. Non volevo che i miei venissero ogni giorno in ospedale, ma allo stesso tempo mi sentivo sola. Mi ripetevo: non ho scelta, o mollo oppure accetto che ora la mia vita è così.
Durante il ricovero ho conosciuto Andrea, che poi è diventato mio marito
A darmi forza è stato il mio carattere frizzante, ma soprattutto le persone che in quei nove mesi di ospedale ho conosciuto, in particolare altri pazienti in carrozzina. Quanto coraggio mi dava sentirli parlare delle loro vite dinamiche tra viaggi, famiglie, lavoro… E proprio mentre ero ricoverata ho conosciuto Andrea, che ora è mio marito. Era uno studente in fisioterapia e stava ancora facendo il tirocinio, era stato assegnato a me per la terapia. Ha iniziato a corteggiarmi fin da subito, io invece ero chiusa in me stessa, vivevo un periodo difficile; la mia vita era stata stravolta, era complicato capire cosa volessi. Di grande aiuto è stato un percorso terapeutico privato che ho affrontato con uno psicologo: mi faceva soffrire il timore di essere rifiutata e dover accettare che non avrei più potuto realizzare i miei progetti. Prima dell’incidente praticavo diversi sport e sognavo di diventare istruttrice di tennis, ora bastava un marciapiedi a bloccarmi.
Ho visitato 29 Paesi e oltre 90 città
Ero già al secondo anno di psicologia e ho ripreso gli studi, mentre la frequentazione con Andrea si intensificava anche fuori dall’ospedale. Prima che fossi dimessa, un giorno mi ha detto: «Quando esci dall’ospedale partiamo per l’Australia?». Sembrava impossibile affrontare un viaggio così lungo con una sedia a rotelle, invece lo abbiamo fatto davvero! Era il 2012 e da allora abbiamo visitato cinque continenti, 29 Paesi e oltre 90 città. Uno dei nostri primi viaggi è stato a Parigi e lì, in aeroporto, Andrea mi ha chiesto di diventare sua moglie. Non solo ci siamo sposati, ma lo scorso settembre siamo anche diventati genitori di Sophie. I medici non mi hanno mai scoraggiato ad affrontare una gravidanza pur avvertendomi che nel mio caso avrei dovuto affrontare una percentuale un po’ più alta di rischio di aborto. La gravidanza di Sophie è andata bene, tanto che abbiamo viaggiato anche mentre ero incinta. A cinque mesi di gestazione abbiamo fatto un «on the road» in camper tra Francia e Spagna e quando ero all’ottavo mese siamo andati in Norvegia.
Il nostro progetto è fare il giro del mondo, in tre!
In questi anni ho aperto un blog, My travels: the hard truth, dove racconto le mie emozioni e anche le difficoltà che incontro spostandomi in carrozzina. Spesso, purtroppo, i problemi iniziano già dalla prenotazione online del biglietto o per l’assistenza durante il volo. Per esempio, in aereo occorre una carrozzina speciale, più sottile, che dovrebbe essere in dotazione in tutti gli aeroporti, ma non è così. Attraverso il mio blog non voglio mostrare solo le splendide località che visitiamo, ma anche le difficoltà che si possono incontrare per via di barriere fisiche e mentali che sono presenti nel mondo. Il blog e i nostri social negli anni hanno cominciato ad attirare sempre più persone, tanto che per noi è diventata una professione, oltre che una passione, finché abbiamo trovato il coraggio di abbandonare i nostri rispettivi lavori per dedicarci a tempo pieno alle nostre avventure.
Dopo il periodo della pandemia e dei lockdown i mesi scorsi siamo ripartiti: abbiamo fatto Milano-San Francisco-Hawaii, e non è che l’inizio: il nostro progetto è fare il giro del mondo, in tre! E in ogni posto che visitiamo mi piace cimentarmi in nuove esperienze, come nei mesi scorsi a Bali, dove ho fatto anche le immersioni dopo aver preso lezioni da un istruttore che sapeva come insegnare a chi, come me, non può muovere le gambe. Spero che la mia storia sia di aiuto a chi non viaggia per via della propria disabilità: si può andare ovunque, ricordando di mettere in valigia tanta perseveranza, spirito di adattamento e audacia.